
“Atti osceni” all’Elfo: l’umano sotto processo
Al Teatro Elfo Puccini, l’occasione per la messa in scena è propizia: un processo, o meglio, I tre processi che condannarono Oscar Wilde, fustigatore indefesso dell’ipocrisia vittoriana, a due anni di lavori forzati. Di fatto la morte civile, l’agonia spirituale, la decadenza fisica che lo avrebbe condotto ad una fine prematura.
L’aula di Tribunale si forma in maniera atipica: ridotta a sbarre orizzontali, funzionali a ricreare gli ambienti, prende davvero vita nelle toghe lunghe degli attori; è una scenografia modulare, affidata quasi del tutto alla disponibilità dello spettatore a ricreare dentro di sé le immagini mentali che fanno da sfondo a una vicenda ricostruita nei ricordi e nelle lettere. Il processo comincia, lo spettacolo comincia.
Nel tripudio di voci maschili che riportano le testate giornalistiche dell’epoca, si distingue una figura ricurva e minacciosa, una sorta di Leprechaundalla voce stridula e dal bastone facile: è il “marchese scarlatto”, lord di Queensberry, padre di Alfred Douglas, quel “Bosie” a cui Wilde fece da mentore e amante, la ragione per cui cominciò una vicenda giudiziaria suicida. Douglas è un giovinetto superficiale e inconsapevole, animato da un rancore distruttivo di sé, e soprattutto degli altri, nei confronti di un padre brutale e ignorante; nel ghigno compiaciuto del ragazzo, si scorge la manipolazione sottile di un cane rabbioso ricoperto di orpelli.
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L’articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2017 sul sito http://inchiostro.unipv.it/.
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