
Romanzo d’infanzia – Abbondanza/Bertoni al Fraschini
Teatro, gioco, infanzia e storie hanno un legame profondo. Anzi, forse il teatro è l’arte per eccellenza che, con la complicità della sua essenza di arte performativa, rimette in atto la promessa di felicità benjaminiana che il futuro spesso contraddice. Perciò già dal titolo – Romanzo d’infanzia – si percepisce la stratificazione dell’opera di Abbondanza/Bertoni che a distanza di ventisei anni riportano quest’opera sui palcoscenici, giungendo al Teatro Fraschini di Pavia lo scorso 3 febbraio.
Saremo anche stati tutti dei bambini ed esisterà ancora un bambino dentro di noi ma, se andiamo oltre la retorica del fanciullino pascoliano, dobbiamo ammettere che più cresciamo e invecchiamo più diventa difficile tornare bambini. Questo non solo dal punto di vista interiore almeno da quello fisico: quando abbiamo perduto quell’energia, quello slancio vitale, trattenuto a fatica in un corpo così piccolo, che fa correre, saltare, spingere, trascinarsi, gridare instancabilmente i bambini? Forse il punto sta proprio nelle dimensioni del corpo: il corpo piccolo non riesce a trattenere l’energia mentre nei corpi più grandi si diffonde senza disperdersi? I corpi esperti e allenati degli interpreti Michele Abbondanza e Antonella Bertoni riescono, per cinquanta minuti, a conservare energia e slancio vitale e, al tempo stesso, a rilasciarli, facendoli esplodere al momento giusto.

In Romanzo d’infanzia Abbondanza e Bertoni alternano i ruoli di severi e rigorosi genitori, a quelli dei due indisciplinati e irrequieti figli. Nella partitura scenica il gesto completa la parola, conferendole maggior intensità attraverso l’azione; i movimenti precisi e distaccati, ricalcando la grammatica della danza classica, esprimono la personalità del padre e della madre che agiscono per quello che secondo loro è il bene dei figli: a letto presto, sveglia e a scuola, tutto in ordine. Ma il bene dei figli non è il bene dei bambini che si chiudono nella loro cameretta fantasticando e giocando, saltano la scuola per andare al cimitero. I due performer si trascinano sul palcoscenico, si abbracciano, corrono e saltano sulle eleganti poltroncine della platea, parlottano e gridano tra loro: i gesti si sciolgono, si liberano dalle regole, pur rimanendo sempre ben saldi alla partitura della coreografia. Sono due fratellini che vogliono vivere nel mondo possibile del gioco e dell’immaginazione, che è però al tempo stesso vicino alla realtà: mentre esplorano le tombe del cimitero, i due bambini parlano della morte e il fratello maggiore finge di essere morto ma, proprio come nei giochi e a teatro, la finzione è autentica, al punto che la sorellina ha paura perché inizia a credere davvero che suo fratello non ci sia più.

I bambini non sono infantili, sono piccoli: comprendono la realtà degli adulti ma la vedono da una prospettiva che la ingigantisce nel bene e nel male. Improvvisamente lo spettatore non sa se stare dalla parte dei bambini o degli adulti, si rivede in entrambi e comprende entrambe le parti: scelta fortunata, perché tra gli spettatori non mancano i bambini. Nella dimensione possibile del gioco e del teatro i bambini sono protetti, possono giocare con i fiammiferi, evadere dalle percosse dei genitori e dalla violenza della loro strategia educativa. Abbondanza e Bertoni compiono una sintesi delle prospettive, delle esigenze e delle percezioni dei genitori e dei figli, degli adulti e dei bambini, ricordando allo spettatore che luogo di incontro e ascolto reciproco sono parole e gesti che spesso trovano spazio su un palcoscenico.

Se quindi l’infanzia riesce a prevedere il futuro come memoria di un passato compiuto in cui l’adulto non ha saputo mantenere la promessa di felicità fatta da bambino, i bambini attraverso il gioco continuano a manifestare ai grandi questa mancata promessa. Gliela ricordano perché la rimettono continuamente in atto; la promessa è il gioco da bambini e il teatro da adulti: un mondo possibile ritagliato nel mondo reale, in cui il gesto è autentico, spontaneo, frammentato. Decostruisce, distrugge, per indagare e ricostruire, dando un personale contributo creativo alla realtà: il gioco da bambini sarà poi la cultura da adulti, una modalità di espressione del sé. Così l’adulto può mantenere la promessa di felicità, aggiungendo la propria voce al coro. Il lavoro di Abbondanza/Bertoni ne è la prova.
Produzione Quintavalla – Stori – Compagnia Abbondanza/Bertoni
Testo Bruno Stori
Coreografia e interpretazione Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
Regia e drammaturgia Letizia Quintavalla e Bruno Stori
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