
Sulla morte senza esagerare del Teatro dei Gordi – L’immortalità del tempo raggiunto
“Non c’è vita che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.“
Dai versi della poetessa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, scaturisce Sulla morte senza esagerare, in scena al Teatro Gerolamo di Milano da venerdì 7 a domenica 9 ottobre 2022: con questo spettacolo – vincitore, tra gli altri, del premio Scintille 2015 – la Compagnia Teatro dei Gordi (Premio Hystrio-Iceberg 2019, Premio ANCT 2020 – Premio Nazionale della Critica Teatrale) affronta il tema della morte attraverso una parabola semplice e delicata, sospesa tra la vita e la chiusura del suo sipario.

Silenzio. La Morte, un impiegato che sembra aver perso qualunque entusiasmo per il proprio lavoro, attende svogliatamente seduta su una panchina. Al suo cospetto si presenta – in una continua, dolente, processione – un carosello di personaggi sempre diversi, espressione di una umanità varia e simbolica: malati terminali e escort festaiole, aspiranti suicidi e vittime di incidenti, un anziano strappato dalla vecchiaia alle cure premurose della moglie dopo una vita passata insieme.
Sulla morte senza esagerare accompagna il pubblico nei meandri dell’animo umano attraverso una forma narrativa liminale e sempre in limine, sospesa tra tragico e grottesco. A raccontare – senza parole – questa storia universale e atemporale, capace cioè di rendersi riflesso del vissuto di ciascuno senza senza relegarsi in un confine cronologico, sono le bellissime maschere di cartapesta realizzate da Ilaria Ariemme.
Quello proposto dai Gordi è infatti un teatro che per lo più fa a meno della parola (ne abbiamo parlato nella nostra rubrica Show, don’t tell #4 | Il linguaggio: i Gordi e il terreno fertile): tanto Sulla morte senza esagerare quanto il più recente Visite e Pandora sono spettacoli totalmente incentrati sulla dinamica della partitura fisica e sulla mimica di gesti e microgesti, oltre che sull’utilizzo peculiare delle maschere di cartapesta, ispirate alle opere del pittore tedesco Otto Dix. Di questo e molto altro abbiamo chiacchierato con Riccardo Pippa, ideatore e regista dello spettacolo, nell’intervista Sul Teatro (dei Gordi) senza esagerare – Intervista a Riccardo Pippa.

Maschere e gesti in uno spazio scenico semplice e definito, una passerella che conduce da una quinta all’altra, trasposizione teatrale del percorso di “passaggio” che separa la vita e ciò che ci aspetta oltre la soglia di questo mondo: con questo campionario di elementi i Gordi raccontano che la morte può essere inaspettata, rifiutata o accettata come serena separazione dal corpo piegato dal peso degli anni di una vita vissuta a pieno, ma anche la frustrazione, il fallimento, la reiterazione sfiancante che spinge anche la Morte a optare per il pensionamento.
Ma non sempre la Morte, che ora vediamo cullare i personaggi in un abbraccio capace di liberarli dalla maschera della caducità dell’esistenza umana, o raccoglierne le lacrime in un contagocce per annaffiare il piccolo cactus che le fa compagnia, ha il sopravvento: la vita mostra risorse inaspettate, lotta e si radica, resiste – sul palcoscenico anche grazie all’aiuto di un esilarante angelo “custode”, tanto dei personaggi (con cui si lancia in vitali danze macabre a ritmo di bossa nova) quanto di questo strano limbo tra l’aldilà e l’aldiquà. Munito di ali, attrezzi e giubbotto catarifrangente, questa sorta di “revisore dei conti” aziendale ci mostra lo scheletro incappucciato, stretto tra le maglie di un golf ormai logoro e idiosincrasie umane più che umane, come un comune mortale.

Quello di Sulla morte senza esagerare è un teatro fatto di silenzi, di sguardi impalpabili, di movimenti impercettibili finemente inseriti in una partitura di musiche e suoni, che sottolineano ironicamente ogni personaggio in un impasto gustoso di pianto e riso. In una cromia che esplora le sfumature del dolore e della perduta, scopriamo pennellate leggere, nelle tinte dell’ironia più intelligente e delicata che sa commuovere e unire. Le maschere si fondono con i corpi di chi le indossa traducendo gesti e emozioni in archetipi umani tanto antichi quanto contemporanei, tanto universali quanto tracce di vite particolari. Nei gesti di queste figure riverberano infatti incontri, ultimi istanti, partenze, ritorni, occasioni mancate, veglie e addii che riconosciamo, anche se non ci sono direttamente familiari. Dietro le maschere dei Gordi ci sono frammenti della vita di ognuno, lacerti perduti o preziosamente custoditi, ricordi dimenticati: ci guardano dritti negli occhi, come il nostro stesso riflesso nello specchio, e non possiamo fare altro che riconoscerci.
Realizzato per il Napoli Teatro Festival 2020, questo nuovo allestimento assorbe nella potenza del suo linguaggio il portato degli ultimi anni: per quanto i Gordi scelgano sapientemente di non saturare la forma e la drammaturgia di Sulla morte senza esagerare con riferimenti al periodo della pandemia – tranne la presenza, tra i visitatori della morte, di un giovane rider vittima di incidente – è proprio nella sottrazione e nell’assenza di codici esplicitamente riconducibili al contemporaneo che riverbera la scia di un dolore muto, latente, ma comune. La pandemia ha negato a chi se ne stava andando il conforto della vicinanza, e a quelli che sono rimasti la condivisione in presenza del lutto: il commiato multiforme e molteplice rappresentato sulla scena si trasforma così in un’elaborazione collettiva del dolore attraverso un addio corale e silenzioso, che muta e evolve passando nelle intercapedini emotive di ciascuno spettatore, arricchendosi, di volta in volta, di frammenti diversi e preziosi.

E forse è questo il senso stesso del teatro, ciò che si nasconde sotto l’ultima maschera, sbirciando dietro il sipario e sporgendosi oltre ogni sovrastruttura: tra il buio vivo di emozioni e respiri e la luce fitta di pulviscolo dei riflettori, tra le maglie create dall’intreccio dell’ordito della finzione e la trama della realtà, si sedimenta ciò che davvero ci rende umani. La condivisione di sogni e desideri, rimorsi e nostalgia, dolore e amore. Forse è impossibile sfuggire a una certa retorica escatologica – perchè no, anche teatrale – ma finché quel “qualcosa” che accade sul palcoscenico, o in qualunque altro luogo di rappresentazione più o meno canonico, avrà il potere di evocare la vita, di suscitare nello spettatore una riflessione, un cambiamento o perfino un’obiezione, allora il teatro assolverà alla sua funzione, e noi alla nostra umanità. Perchè è la volontà di lasciarsi seminare l’anima a rendere significativa l’esperienza teatrale.
E alla fine, quando le luci della scena si affievoliscono e la Morte rimane in attesa – ancora sulla panchina, ancora ineluttabile – non si avverte necessità di consolazione o conforto, perchè è appena stata celebrata la vita. Proprio come i versi della Szymborska, Sulla morte senza esagerare non è uno spettacolo sulla fine, ma un inno alla cura del tempo che ci è concesso: l’unico modo per sfuggire la morte è vivere rendendo ogni attimo immortale. Così, i confini tra vita e morte sembrano ricongiungersi, riconfigurandosi a vicenda, portando la fine a diventare origine e il lascito ad essere radice. Perchè, come scrive Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò, «l’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia».
Ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
scene, maschere e costumi Ilaria Ariemme
produzione Teatro Franco Parenti / Teatro dei Gordi
Visto al Teatro Gerolamo di Milano sabato 8 ottobre 2022
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