
The Son – Il composto naufragio di una famiglia | Venezia 79
Paradossalmente, il protagonista di The Son è ancora una volta un padre. Riuscito manager in odor di primarie a Washington ed entusiasta neo-papà, Peter (Hugh Jackman) si trova a fare i conti con la depressione e gli istinti autolesionisti del figlio adolescente Nicholas.
Il figlio appunto, insieme al padre interpretato da Anthony Hopkins in The Father – che è valso a Florian Zeller l’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale nel 2021 – costituiscono il titolo delle rispettive piece e dei conseguenti adattamenti, in quanto oggetti di preoccupazione, segnali di pericolo e di interruzione della vita più abitudinaria e realizzata.
Florian Zeller, qui fin troppo accomodato sulle proprie abitudini narrative, torna quindi con The Son ad occuparsi di famiglia e soprattutto di malattia mentale come brusca cesoia all’entusiasta e appassionata vita dei protagonisti. Dall’Alzheimer alla depressione giovanile, dall’evanescenza cerebro-cognitiva dell’anziano, alla resa esistenziale del ragazzo.

Sappiamo bene come i tempi in cui viviamo vedano, anno dopo anno, lo sconcertante incrementarsi di casi di depressione tra i giovanissimi. Complici, tra le diverse cause, la pressione sociale, l’isolamento e la dipendenza da dispositivi digitali e social network come unici deputati alle occasioni sociali e alla scoperta del mondo.
L’iconosfera, il non-luogo digitale, lo sguardo bullo e ansiogeno degli altri verso un individuo che vive il pieno del suo periodo di mutazione adolescenziale, sono ostacoli e connotazioni che in The Son – ambientato in un cronotopo vagamente attuale ma ancora affezionato ai messaggi lasciati alla segreteria telefonica – non sussistono. Ci si affida quindi ad uno scheletro narrativo a-specifico, esemplare e piuttosto scarno.

In The Son, la depressione di Nicholas è un dato aprioristico, perché come con le malattie degenerative è inutile e impossibile cercare una causa precisa e razionale al male. In Zeller, il dolore è un solvente pienamente integrato al soluto della vita, un dato certo da accettare e affrontare, senza traumi o tragedie da incoronare a causa scatenante. Ci si concentra allora su un irrisolvibile senso di colpa privo di qualsiasi possibilità di redenzione, che come in Beautiful Boy, getta il personaggio paterno nel solco di una discesa agli inferi.
È forse per l’importanza delle sue premesse e l’urgenza delle tematiche che tratta che The Son risuona come un’occasione sprecata, un racconto spossato di una materia così viva e palpitante, che rischia di piangere già prima che si consumi il nocciolo drammatico. Inoltre, se lo scheletro narrativo ricalca forse troppo fedelmente il suo virtuoso predecessore, la messa in scena non raggiunge la stessa pregiata complessità.

Affidando la sua carica emotiva e immersiva alle sole premesse di trama e dimenticandosi di caratterizzare i personaggi, si appiana su un’articolazione del racconto ben distante dall’affascinante austerità espressiva che ispessiva The Father. Quel che rimane è un kammerspiel melodrammatico orchestrato su un misurato e composto crescendo che, scomponendo l’istituzione famigliare e svelandone la fragilità davanti al male inatteso, sembra limitarsi ad una annoiata esposizione dei fatti, ad una messa in scena convenzionale e a certi archetipi narrativi tutto sommato prevedibili, o quanto meno non audaci.
Oltre alle ottime interpretazioni devotamente sofferte di Jackman e Laura Dern, resta tuttavia indiscusso il talento di Zeller, il valore che trae da storie semplici, la puntualità con cui mette in scena lo stridente conflitto generazionale e le tappe dolorose universalmente esperite come fasi ineluttabili della vita. Proprio l’universalità del dolore narrato espone l’autore al rischio di convenzionalità, in un film classico forse più interessato all’epidermide emotiva dello spettatore, alla sua sensibilizzazione, piuttosto che all’acuto abisso psicologico dei suoi protagonisti.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista