
Our Flag Means Death – Spiritosa avventura nel romanticismo
Perché il ricco proprietario terriero Stede Bonnet decide improvvisamente di abbandonare la famiglia per diventare un pirata? Come si spiega la sua alleanza con Edward Teach, meglio noto come Barbanera? Sono queste le domande a cui cerca di rispondere a suo modo Our Flag Means Death, la nuova serie creata da David Jenkins per HBO Max.

È il 1717, in piena età d’oro della pirateria e Stede Bonnet (Rhys Darby), lasciatosi alle spalle la sua agiata ma noiosa vita, è partito alla volta del mare in veste del non troppo convenzionale capitano della Revenge, accompagnato da una strampalata ma gentile ciurma che, abbandonata subito l’idea dell’ammutinamento, accetterà il proprio capo in tutta la sua unicità. Lungi dall’essere un pirata tradizionale, infatti, l’uomo creerà ben presto un proprio brand: «Perché non si può essere un pirata e un gentiluomo?» si interrogherà ad un certo punto, lasciando intendere di voler essere entrambi. L’arrivo di Barbanera (Taika Waititi, anche produttore dello show e regista del pilot) cambierà però l’equilibro a bordo, spingendo in una direzione diversa la serie: i due capitani stringeranno infatti un legame sempre più forte che li indurrà a viaggiare insieme per imparare reciprocamente dalle proprie differenze.
Grazie a queste semplici ma solide premesse, Jenkins riesce a creare un prodotto seriale fresco perché fondato su un’intrigante intersezione di elementi vincenti: alla comicità asciutta e pungente della sitcom si affianca il romanticismo tipico del period drama; allo spirito di avventura corrisponde la ricerca personale dei due capitani.
L’anima della comedy emerge innanzitutto dalla buffa stranezza di Stede e dei suoi sottoposti che si ritrovano spesso, come in ogni sitcom che si rispetti, in situazioni surreali. Se ciò risulta evidente nei primi episodi dello show che, avendo come principale obiettivo quello di gettare le basi del mondo narrativo e dei suoi “abitanti”, ricorrono spesso alla battuta facile, allo stesso tempo, però, anche nel resto delle puntate viene costruita una patina leggera attraverso la quale affrontare temi più seri, come ad esempio il colonialismo e la rappresentazione della comunità LGBTQIA+, senza per questo renderli oggetto della punchline.

Our Flag Means Death, inoltre, riesce a dialogare benissimo con il panorama seriale contemporaneo e non solo. Il primo riferimento che balza in mente è What We do in the Shadows, la serie mockumentary sui vampiri creata da Waititi e Clement per FX. I membri della ciurma, poi, costituiscono una curiosa found family, come nelle più apprezzate comedy ambientate sul posto di lavoro. Stede, inoltre, sembra essere un incrocio tra Michael Scott di The office e Ted Lasso. Il legame con quest’ultimo, però, va oltre l’inesperienza dei rispettivi protagonisti, sedimentandosi nell’importante discorso sulla mascolinità fatto da entrambe le serie: si prova a sovvertire la tossicità delle relazioni maschili in ambienti che di solito la ospitano per costruire dei rapporti sani in cui è possibile dare spazio a sé stessi e alle più bizzarre qualità personali senza paura di alcun giudizio.
I pirati protagonisti, poi, non sono troppo violenti o spietati ma lo show riesce a far emergere tutta la loro umanità, perfino e soprattutto quando si tratta del tanto temuto Barbanera dietro al quale si nasconde un uomo stanco di essere trattato come il mostruoso Kraken, e desideroso di scoprire finalmente i piccoli dettagli preziosi della vita. Sarà proprio Stede ad accompagnarlo, scavando dietro la feroce maschera leggendaria e ridestandolo dal torpore in cui si è arenato: «You wear fine things well» gli dirà con delicatezza aggiustandogli un fazzoletto rosso di seta nel taschino della giacca, alla luce del chiaro di luna.

Il romanticismo, d’altronde, occupa un posto rilevante sin dalle prime interazioni dei due capitani, anche grazie alla straordinaria intesa dei loro interpreti. I due personaggi non potrebbero essere più diversi, a partire dall’aspetto: l’esperto Ed è vestito dalla testa ai piedi in pelle nera mentre il sofisticato Stede indossa eleganti completi colorati. Eppure riescono a completarsi perfettamente perché entrambi alla ricerca di una nuova lente attraverso la quale guardare il mondo che li circonda secondo un’altra prospettiva. Proprio nell’esplorazione identitaria personale e reciproca i due riusciranno a darsi una seconda possibilità, raggiugendo la tanto agognata felicità.
Lontano dalla trappola del queerbaiting, la rom-com, dunque, è un punto di forza dello show, che riesce in tal modo ad includere la queerness dei personaggi in maniera gioiosa. Ne nasce una rappresentazione di alto livello anche grazie alla composizione molto diversa della writers’ room e al coinvolgimento diretto di persone appartenenti alla comunità queer (Jim, ad esempio, nella serie è una persona non-binary come Vico Ortiz che ne veste i panni). Ciò ha contribuito a decretare il successo della serie fin dalla sua uscita, creando un fandom molto attivo che ne ha chiesto fin da subito e ha ottenuto in questi giorni il rinnovo per una seconda stagione.
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