
Earthbound, ovvero le storie delle Camille di Cuscunà
Nella rassegna ERT a Vignola, al Teatro Fabbri, Marta Cuscunà arriva con il suo nuovo lavoro Earthbound ovvero le storie delle Camille. L’artista porta in scena un immaginario fantascientifico, ricco di spunti di riflessione, a partire dall’indagine di Donna Haraway, filosofa eco-femminista teorizzatrice della corrente cyborg.
Cuscunà trasforma per la scena, ri-adatta, con una visione propria, ciò che viene narrato nel Racconto delle Camille dei Bambini del Compost, che chiude il libro Stay With the problem, della suddetta filosofa. (pubblicato in Italia con il titolo Chtulucene – sopravvivere su un pianeta infetto)

Così come nel racconto delle Camille, anche Earthbound ha come protagonista un mondo semidistrutto dalla crisi ambientale. Gli umani sono troppi e disinteressati alla questione.
Il modo per non produrre ulteriore inquinamento, risanare l’ambiente disfatto, salvaguardare le specie in via d’estinzione e entrare nuovamente in contatto con la natura è racchiuso nel motto di Donna Haraway: «generate parentele, non bambini». Si escogita un nuovo modo di pensare la genitorialità e si propone di generare parentele tra esseri umani e altre specie. Attraverso interventi biogenetici, le Camille entrano in simbiosi con piante e animali: in questo modo, si spera che specie in via di estinzione possano continuare a vivere.

Sulla scena compaiono, dunque, quattro Camille la cui fisionomia è tutt’altro che umana; ci vengono presentati dei corpi meravigliosi, inusuali, frutto di decenni di innesti con altre creature vegetali o animali del pianeta Terra. La Camille 1, la più anziana, possiede tratti morfologici più simili a quelli di un essere umano, solo perché all’inizio del processo di simbiosi.
Le quattro Camille vivono con il loro sistema operativo Gaia, in una casa a sfera, che, grazie a un meccanismo rotante, si orienta di volta in volta su uno dei due lati con apertura. Accanto alla casa a sfera c’è un piccolo alberello ancora intossicato dai veleni presenti nel terreno, ma, fortunatamente, in via di miglioramento. Gaia è in continuo contatto con il sistema operativo generale che monitora le condizioni del pianeta Terra. Nella comunità delle Camille giunge la notizia che ci sarà la possibilità di generare una nuova creatura, il consiglio ha deciso. Avendo le altre Camille della comunità già espresso il desiderio di diventare genitrici di anima, saranno le due Camille che noi spettatori conosciamo a generare questo nuovo essere vivente. Camille però, dopo svariati tentativi, non riesce a rimanere incinta. Nello sconforto più totale, confessa che lei, in fondo, un figlio lo ha sempre desiderato. Il suo sguardo lucido, però, riguardo il problema ambientale, le permette di consolarsi: forse, in tempi bui come questi è meglio che un ovulo e uno spermatozoo non s’incontrino.

Marta Cuscunà riesce a portare sul palco un immaginario nuovo, coinvolgente e potente. Non rinuncia, però, alle fragilità e alle difficoltà del pensare in maniera diversa da come siamo abituati a fare nel mondo dell’Antropos e del Capitale. Al motto harawayano «generate legami, non bambini», si aggiunge, nella drammaturgia: «è questa la parte più difficile». C’è bisogno di raccontare di un alberello intriso di arsenico e un’intelligenza artificiale che scoprono di poter sognare per divertirsi, ballando sulle note di I love you baby; ma c’è bisogno anche di raccontare che il cambiamento non avviene senza dolore: Camille 1 in punto di morte, in un attimo di debolezza umana, desidera gustare un’ultima mozzarella dall’impatto ambientale ormai insostenibile; l’altra Camille, nonostante l’educazione ricevuta dalla comunità, confessa di desiderare con tutte le sue forze un figlio.
“Avere cura” del problema richiede uno sforzo non indifferente.
Con le sua creature animatroniche, Marta Cuscunà riesce a generare legami fatti di fili e di voci: il suo corpo, divenuto cyborg, si espande sulla scena, si fonde con i puppets, per creare il proprio micro mondo.

Dalla storia della comunità delle Camille emerge un profondo senso di unione, dello stare insieme, del con-pensare, con-divenire, con-fare, nel senso di «fare insieme». Noi spettatori, in quanto esseri umani, diventiamo oggetto di scherno: in quel momento siamo chiusi in una stanza, al buio, e stiamo sperimentando cosa significhi fare comunità. Ne abbiamo bisogno in quanto esseri fortemente individualisti. Le Camille non comprendono bene questa pratica, perché a loro, il senso di comunità, è stato insegnato come necessario per la sopravvivenza del pianeta.
C’è bisogno di un altro tipo di attenzione, di riguardo da parte nostra.
Marta Cuscunà, attraverso Donna Haraway, riflette sulle diverse e altre possibilità che abbiamo per salvaguardare il pianeta: stare a contatto con il problema, riflettere sui diversi tipi di legami su e con la Terra, sperimentare l’atto dell’“avere cura”, non necessariamente attraverso un figlio, ma pre-occupandosi di quello che già c’è e, oggi, è in pericolo.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista