
Equilibrio Festival 2022 | La danza contemporanea per rimanere in equilibrio quando tutto cambia
L’edizione 2022
Danzatori, musicisti e perfino due ciclisti hanno occupato le ampie e gremite sale dell’Auditorium Parco della Musica di Roma nella serata di sabato 26 febbraio per il gran finale del Festival Equilibrio 2022.
Il festival romano dedicato alla danza contemporanea è iniziato il 12 febbraio e per due settimane ha portato nella Capitale figure di spicco del panorama mondiale della danza contemporanea, con prime europee, italiane e anche una nuova produzione della Fondazione Musica per Roma: Maguy Marin, Silvia Gribaudi, Alessandro Sciarroni, Pamela Z, Richard Siegal, sono solo alcuni degli artisti invitati a Roma da Emanuele Masi, già direttore artistico del Festival Bolzano Danza e nuovo curatore di Equilibrio, ripartito quest’anno dopo due anni di stop.

Ogni nuovo inizio porta con sé il cambiamento e tutti noi siamo ormai sempre più esposti ai cambiamenti, siano essi politici, sociali, climatici. La performance – intesa come azione che coinvolge corpi in un tempo e in uno spazio definiti – è strumento per affrontare il cambiamento: permette di rivivere un’esperienza per narrarla. Danzatori, musicisti e ciclisti hanno qualcosa in comune: sono performer, i loro corpi agiscono nello spazio. Nell’intenzione del curatore, il Festival Equilibrio vuole dare una narrazione al nostro presente, appunto attraverso i performer e le storie da loro narrate, che sono anche la nostra storia. Il percorso individuato dal festival è riuscito a essere un aiuto per il pubblico affinché trovi il modo di stare in “equilibrio” in tempi mutevoli e incerti come quelli che stiamo vivendo.
Carbon Song Cycle di Francesca Pennini, Pamela Z, PMCE
È una storia primordiale quella raccontata nella performance Carbon Song Cycle, nuova produzione della Fondazione Musica per Roma in collaborazione con l’American Academy in Rome, e prima europea, a cura della coreografa e danzatrice Francesca Pennini, della compositrice e performer statunitense Pamela Z, e dei musicisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble (PMCE).

Pamela Z ha ripensato la composizione di Carbon Song Cycle – la cui versione originale risale al 2012 come parte di un’opera multimediale – ispirandosi a dati scientifici sul ciclo del carbonio, il processo attraverso il quale il carbonio emesso nell’atmosfera viene scambiato tra tutte le forme di vita. Ciò richiama il processo della respirazione che permette agli esseri viventi di entrare in contatto tra loro e con il mondo in cui vivono immersi: il carbonio è una delle sostanze che i viventi si scambiano reciprocamente attraverso la respirazione; gli uomini lo liberano nell’aria espirandolo, le piante lo trasformano in ossigeno assorbendolo o – potremmo dire – “inspirandolo”. Il carbonio è presente anche nell’anidride carbonica, una delle cause dei cambiamenti climatici. La performance vuole trasmettere il messaggio secondo cui, per arginare gli effetti dei cambiamenti climatici, l’uomo debba avere a cuore l’ambiente in cui è immerso, insieme agli animali e alle piante: più l’uomo perderà il contatto con gli altri viventi, più il suo destino da vivente giungerà alla fine.
La performance
Nell’oscurità della sala risuonano i passi delle tipiche scarpette da ciclismo di due ciclisti, performer di fatto, che per un’ora continueranno a pedalare in sella alle loro biciclette alimentando un filo di lampadine che si illuminano nel buio, prima fioche, poi luminose: energia rinnovabile? Lo spazio scenico, rubato al pubblico togliendo le prime file di poltrone, è occupato – oltre che dalle due biciclette – dai musicisti del PMCE che insieme a Pamela Z accompagnano la danza di Francesca Pennini. In sottofondo è costante il rumore della catena delle biciclette, che scorre inesorabile. Francesca Pennini dà inizio alla coreografia, ricercando più volte il contatto con il suolo e con la luce: la performer danza con il filo di lampadine e un gruppo di neon, come a voler far sua una luce che è però effimera e potrebbe spegnersi da un momento all’altro se i ciclisti smettessero di pedalare. Ad un certo punto l’attenzione dello spettatore si sposta dallo spazio scenico e dai corpi in azione, per focalizzarsi sull’ombra della performer che appare schiacciata, e delle ruote delle biciclette in movimento che si stagliano enormi e minacciose sulle pareti della sala: gli oggetti prendono il sopravvento? I movimenti della performer traducono in una partitura fisica la musica della compositrice statunitense Pamela Z: la sua voce viene elaborata elettronicamente dal vivo, e si trasforma in altro da sé, in suoni pregrammaticali. È la voce della natura, degli alberi, della luce, dell’aria in cui tutti noi esseri viventi siamo immersi, come un’unica entità in cui il singolo mantiene la sua identità unendosi a un unico coro. Ma le voci del coro si fanno quasi strozzate: manca l’aria, non si respira più. LIVE SUSTAINABLE, STOP WAR: risuonano come un ordine le parole che vengono proiettate alla fine dello spettacolo.
Triple ALL FOR ONE, METRIC DOZEN, MY GENERATION di Richard Siegal / Ballet of Difference am Schauspiel Köln
Un altro racconto, ancora più corale, quello che propone il coreografo americano Richard Siegal – per la prima volta a Roma – con il suo trittico Triple, composto dalle sue tre coreografie: ALL FOR ONE, METRIC DOZEN, MY GENERATION. La performance comprende lavori passati di Siegal e un nuovo pezzo realizzato per la compagnia Richard Siegal / Ballet of Difference am Schauspiel Köln (BoD), da lui fondata e diretta. Come ben sintetizzato nel documentario Draw a line – Richard Siegal and the Ballet of Difference (Benedict Mirow, 2019), Siegal nei suoi lavori indaga il concetto di diversità fisica, sessuale, culturale: la stessa compagnia Ballet of Difference nasce proprio dall’incontro tra danzatori provenienti da diverse parti del mondo, come espressione di più culture, veicolate dall’arte dei corpi in movimento.

La scenografia è fatta di luce. Inizialmente appare più concreta, limitando i movimenti dei danzatori sul palcoscenico; proseguendo si fa sempre più effimera, riducendosi a fasci di luce che anticipano e individuano le azioni dei performer che si muovono nel buio. Il tema dell’alterità viene affrontato anche attraverso i costumi che trasformano il danzatore, diventando prolungamenti del suo corpo: nella prima coreografia i costumi dalle forme geometriche e futuriste sembrano quasi ostacolare i movimenti dei danzatori; nel secondo pezzo diventano più essenziali, con paillettes che riflettono la luce. Nel finale sono multicolori e sgargianti, esaltati dal buio che circonda lo spazio scenico. Il ritmo della musica è velocissimo e non permette pause per riprendere fiato: lo spettatore arriva alla fine di ogni coreografia messo alla prova, quasi avesse preso lui stesso parte allo spettacolo.

Il Festival Equilibrio 2022 diventa un evento che aiuta il pubblico a riflettere sul ruolo delle arti performative nella contemporaneità: la danza non è solo arte separata che nasce e si esaurisce in sé stessa, ma diventa un modo per narrarsi e farsi narrare attraverso l’altro, mettere in comune la propria identità in un coro che, dando voce ad ognuno, racconti un’unica storia, la nostra.
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