
Eleganzissima, ovvero l’arte di dire quello che si vuole
In tour fino a settembre con Eleganzissima, andato in scena all’Auditorium Paganini di Parma il 10 di marzo 2022, Drusilla Foer è stata al centro del dibattito pubblico sorto attorno all’ultimo Festival della Canzone Italiana. Senza la pretesa di dare certezze, tentiamo di fare il punto sul suo statuto artistico, prima di affrontare il suo (riuscitissimo) spettacolo.
Drag show, en travesti, teatro di varietà: Drusilla, un unicum
Il palco di Sanremo è stato quel trampolino di lancio che ha permesso al grande pubblico di conoscere Drusilla, ma che ha generato una gran confusione intorno alla sua arte, talvolta impropriamente glossata, in termini non proprio pregevoli, come arte Drag (lo “scandalo” di un travestito al Festival). Forse del Drag show riprende lo spirito originario, quello degli anni ’20 circa, quando era prevista la totale dissimulazione, per cui l’artista che vestiva panni femminili (o maschili) non doveva tradire il suo reale aspetto. Un punto di contatto forzato, non necessario.
È forse più appropriato avvicinare Drusilla alla recitazione en travesti, nel solco della quale eccelse Paolo Poli, altra personalità artistica difficile da inquadrare in maniera univoca e che costituisce un utile comparandum per comprendere l’operazione drammaturgica di Gianluca Gori, l’altro volto di Drusilla. Qui è il punto chiave che in parte allontana Drusilla da una recitazione en travesti. Paolo Poli recitava nei panni di un personaggio femminile (Santa Rita in Rita da Cascia oppure la regina di Francia in Caterina De Medici) per poi spogliarsi di quei panni, cosa che Gianluca Gori non fa: sul palco nasce e vive Drusilla, una seconda anima, un’essere che gode di un statuto ontologico tutto suo.

Sarebbe quantomeno riduttivo, per non dire improprio, indicare il palco come luogo di nascita di Drusilla: in primo luogo perché la sua arte è iniziata sul web, in secondo luogo perché essa oramai vive anche fuori dal palco. Drusilla, non Gianluca, recita in Sempre più bello nei panni della nonna della protagonista, Drusilla, non Gianluca, è andata a Sanremo ed è lei che è stata intervistata in qualità di co-conduttrice. Siamo di fronte a un’operazione di ibridazione, in cui è possibile ravvisare molteplici punti di contatto con altre arti e altre forme della recitazione, operazione che elabora non solo un unicum, ma anche un essere vivente vero e proprio. In sostanza, a teatro noi assistiamo al monologo della Signora Foer.
Drusilla si scatena, diventata performance a tutto tondo, coniugando con esiti brillanti diversi linguaggi artistici: la danza, il canto, la narrazione delle vicende del suo passato, in un’atmosfera che ricorda il teatro di varietà. E converrà notare che uno dei modelli a cui la Foer sembra ispirarsi si è formato proprio in quel tipo di teatro negli anni ’60: Franca Valeri. La chiamata di Ornella, la governante, oppure quella di Dianora, l’amica svampita, ripropongo una recitazione che, perlomeno in Italia, ha nella Valeri un modello.
Eleganzissima
Sul palco, il corpo della Foer viene abitato da tutte le donne che l’hanno resa quella che è oggi, oscillando tra il presente e il passato, dal quale si fa strada uno dei momenti più toccanti dello spettacolo, ovvero il ricordo del marito Hervé Foer. Senza indugiare troppo sul facile sentimentalismo, ogni ricordo diventa un momento moralmente significativo e mai banale, accompagnato da qual gusto per il motto arguto che caratterizza lo spirito libero di Drusilla.
Il caleidoscopico variare delle forme d’arte non gioca però sempre a favore dell’attrice. Talvolta l’insistenza sul canto a spese del dialogo che intrattiene con il pubblico rallenta lo spettacolo e riduce in parte il brio della fantasia di Drusilla, che eccelle sopra ogni cosa per capacità gnomica, ogniqualvolta condensi un messaggio raccontandosi senza assecondare una retorica moraleggiante. Ci ha abituato a ciò con il suo monologo a Sanremo, lo ripropone a teatro parlando di sé.

La vita di Drusilla si muove fra il reale e il verosimile, è uno straordinario agglutinarsi di eventi intorno ad una sola persona che si racconta, anche attraverso le canzoni di Amy Winehouse e Giorgio Gaber, di Enzo Jannacci e David Bowie, fino alla sua personale rilettura di I Will Survive, rilettura che certamente non riduce il personaggio solamente ad un’icona LGBT, poiché la poliedricità di colei che va in scena non può essere ridotta entro schemi preordinati.
Come tutte le grandi dive un po’ capricciose, quando decide che è ora di piantarla, guarda il pubblico ed esclama spavalda che: «S’è fatta na certa». Come tutte le Signore, non dimentica di ringraziare nessuno, a cominciare dai musicisti sul palco con lei, Loris Di Leo al pianoforte e Nico Gori al sax e al clarinetto. Dopo essere stata avvolta dall’applauso di un teatro gremito (a Parma è stato un tutto esaurito), l’ultimo omaggio, rivolto a Amy Winehouse, chiude lo spettacolo di chi si è raccontata fin nel profondo.
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