
Parigi tutto in una notte – Prognosi per fratture multiple
Frattura, dal participio passato latino del verbo frangere, fractus. Rompere. Da qui potrebbe partire un gioco etimologico che ci porta ad analizzare i composti irrompere e infrangere. Li daremo per scontati per focalizzarci, ora, sui molteplici significati, concreti e metaforici, del vocabolo da cui siamo partiti. La frattura scomposta di un osso andato fuori posto in seguito ad una brutta caduta, la frattura sentimentale di un rapporto incrinato che sta andando alla deriva, la frattura sociale di un Paese che porta i lavoratori a manifestare e protestare contro le ingiustizie di un governo che non guarda ai loro diritti e ai loro salari. Queste tipologie di fratture sono quelle analizzate e messe in scena da Catherine Corsini nel suo ultimo film Parigi, tutto in una notte (titolo originale La Fracture) nelle sale italiane con Academy Two.
Raf (Valeria Bruni Tedeschi) e Julie (Marina Foïs) sono una coppia in crisi. In seguito ad una lite, correndo per strada nel tentativo di raggiungere la compagna, Raf cade e viene portata in ospedale. Qui passerà lunghissime ore in attesa di una diagnosi: Parigi è in fermento a causa delle manifestazioni dei gilets jaunes, l’ospedale diventerà porto (in)sicuro per feriti scampati agli scontri con la Polizia. Tra questi c’è anche Yann (Pio Marmaï), camionista contestatore gravemente ferito ad una gamba. La stabilità fisica e mentale dei degenti e dello staff medico, in particolare quella dell’infermiera Kim (Aissatou Diallo Sagna, operatrice sociosanitaria prestata al cinema e fresca vincitrice del César alla Miglior Attrice non Protagonista), verrà messa a dura prova dall’avvicendarsi di situazioni, anche apparentemente grottesche, che andranno ad evidenziare le enormi incongruenze e contraddizioni della Francia contemporanea.

A differenza di quanto lascia intendere il titolo italiano, Parigi resta fuori scena, viene vista solamente attraverso gli schermi, quelli dei televisori e dei cellulari, che filtrano le notizie e lasciano intravedere ai personaggi solo scampoli della brutalità che imperversa in città. Ad ogni “nuovo arrivo” nella sala d’attesa del pronto soccorso dell’ospedale la realtà si fa più vicina, più viva, più pulsante e con essa il caos, il dolore e la sofferenza aumentano. Raf e Yann, tra i primi in codice rosso – seppur per differenti ragioni – sono gli apripista, i portavoce di una Francia dilaniata, o troppo ingenua, come nel caso dell’uomo che sperava nell’accoglienza dei manifestanti da parte di Macron, o disillusa, come Raf che nella politica, nei cortei, nella giustizia non crede più e vive esclusivamente i drammi privati del suo microcosmo borghese. Cosa li accomuna? La paura di perdere tutto ciò che con fatica hanno conquistato: gli affetti, il lavoro, la libertà. I due assoluti protagonisti si fanno cassa di risonanza, mordaci altoparlanti che riescono a spaziare nei loro battibecchi e coinvolgere un’intera popolazione a cui dar voce, un popolo che urla, piange, grida e soffoca, colpito dalla reazione smodata e asfissiante di uno Stato impreparato che non vuole indietreggiare. L’ospedale, fatiscente scheletro – che letteralmente cade a pezzi – della sanità pubblica si trasforma in prigione, in trincea in cui il personale medico, ridotto all’osso, tenta di farsi largo dovendo addirittura scegliere se dare la priorità al lavoro o alla vita privata. L’infermiera Kim, il più stoico, unico vero eroe di una battaglia persa in partenza, dovrà infatti salvare la vita ad un paziente in arresto cardiaco prima di correre ad occuparsi della figlioletta neonata con problemi respiratori.

Corsini, rapsodica, alterna la regia dilatata di una cornice emotiva logorata, alla frenesia di un’azione necessaria e impellente, riuscendo così a far emergere tutte le essenze di quella tridimensionale frattura che minuto dopo minuto si scompone irreversibilmente. Partire da prospettive differenti, appartenere ad ambienti sulla carta inconciliabili è una falsa pista, utile solo a stemperare e ad irrorare di ironia e di risate amare, una vicenda che sta per sfociare in qualcosa di incontrollabile. Julie getta il cappotto di Raf sporco di vomito, Yann non vuole che i suoi jeans vengano tagliati, eppure entrambi si troveranno a dover esibire una nudità del loro essere che nessun cocktail di farmaci e nessuna rabbia esibita potrà camuffare o nascondere. Gli uomini e le donne di Parigi tutto in una notte vedono infrangersi le loro poche e tremanti certezze, spazzate via insieme al buon senso e alla civiltà che nessuna istituzione sembra più voler far prevalere. Ma c’è davvero una sostanziale differenza tra i ruoli? Medici, manifestanti, borghesi, poliziotti fanno i salti mortali per sorreggere una struttura che minaccia di crollare al primo soffio di vento, e lo fanno con dignità, quella dignità che permette a chiunque – esterno o interno alla vicenda – di non prendere posizione, piuttosto di prendere atto della gravità di una situazione che ci vede tutti vittime della stessa frattura. Eppure, in mezzo alla tragedia, al convulso tentativo di superare la notte e l’emergenza, ciò che circola in sordina, rasente ai manifesti trasporti emotivi, è il seno di solidarietà, nutrito da un amore così puro da non aver bisogno di essere esternato. I personaggi di Corsini si tendono la mano con discrezione, con imperfetto ed inadatto senso di giustizia che manca ai piani alti.

Il tempo, tiranno nemico dell’uomo, segna condanne già scritte – nel bene e nel male: riavvicina, come un gesso che lento deve portare alla guarigione, oppure, ingombrante, complica la vita, nutrendosi delle paure e delle esigenze dell’individuo. C’è chi fuggirà dall’ospedale e dovrà farci ritorno, chi tornerà a casa e chi beatamente, senza clamore, ne farà la sua tomba. Ciò detto, le prognosi, personali e su ampia scala, resteranno riservate.
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