
Lady Macbeth – Ritratto di una giovane in fiamme
Tratto dalla novella Una Lady Macbeth del Distretto di Mcensk (1885) dello scrittore russo Nikolaj Leskov, a sua volta ispirata dal celebre personaggio shakespeariano, Lady Macbeth, presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival 2016, è un perfetto character study su una giovane donna di fine Ottocento alle prese con frustrazioni e ambizioni che la porteranno a distruggere il fragile equilibrio domestico sulla quale si regge la sua vita.
Al loro esordio nel lungometraggio, il regista teatrale William Oldroyd e la sceneggiatrice Alice Birch aggiornano un classico della letteratura ottocentesca trasformandolo in un gelido melodramma in grado di mettere in scena, in maniera nuda e cruda, emozioni innate e universali.
L’ambientazione della storia viene spostata dalla Siberia zarista all’Inghilterra vittoriana, ma la sostanza non cambia: al centro del discorso c’è sempre la voglia di ribellione della protagonista, il suo desiderio di fuga da una quotidianità avvilente per autoaffermarsi nel mondo, anche a costo di far esplodere il proprio lato più oscuro e mostruoso.
Per usare termini quasi fumettistici, Lady Macbeth non è altro che l’origin story di una villain: la giovane Katherine – interpretata da Florence Pugh, che con questo ruolo rivelò al mondo il suo strepitoso talento – è intrappolata in un matrimonio di puro interesse, reclusa in una magione nelle campagne inglesi dove viene maltratta dal marito (Paul Hilton), totalmente disinteressato a lei, e dal tirannico suocero (Christopher Fairbank), il quale la punisce duramente accusandola di ingratitudine per la sua incapacità di generare un erede.
Durante un breve periodo di assenza dei due, Katherine intravede uno spiraglio di libertà e allaccia una relazione carnale e clandestina con lo stalliere Sebastian (Cosmo Jarvis), trascinandolo in una spirale buia di perdizione e morte. E così questa potenziale Madame Bovary diventa una glaciale assassina che, come la femme fatale shakesperiana, è pronta ad usare il suo compagno come una vera e propria arma per perseguire i suoi diabolici scopi.

La Pugh è straordinaria nel restituire nel restituire un personaggio che muta velocemente da vittima a carnefice, da ingenua damigella a folle omicida, trasformando l’iniziale empatia stabilita con lo spettatore in assoluta repulsione. Minimalista e rigoroso, il film non perde un minuto della sua ora e mezza di durata nel raccontare questa graduale discesa agli inferi di una donna pronta a mentire, manipolare e uccidere a sangue freddo pur di raggiungere i suoi obiettivi, senza però mai mostrare, come invece avveniva alla Lady Macbeth di Shakespeare, alcun segno di rimorso.
Gli autori hanno deciso di modellare e ridurre ancora di più all’osso il già scorrevolissimo racconto di Leskov, tagliando soprattutto la parte finale, proprio per far emergere Katherine come assoluta dominatrice della scena, emblema di un male che cresce inesorabile e non può essere fermato, né tanto meno punito. Pur non mancando momenti di violenza grafica, a rimanere maggiormente impressa è la cinica freddezza con cui Katherine commette i suoi crimini, non facendosi poi scrupoli a riversare la colpa su altri, in particolare Sebastian e la povera cameriera Anna (Naomie Ackie), letteralmente ammutolita dallo shock derivato da tale inaspettata crudeltà.
Il film, in questo senso, ha uno svolgimento del tutto lineare e adotta uno stile asciuttissimo e proprio per questo ancora più disturbante, scegliendo di tratteggiare la brutalità fisica ed emotiva della vicenda in maniera schietta e senza filtri. È il trionfo di quel Male Assoluto che, come ha raccontato Pietro Citati in un suo celebre libro sul tema, nessuno ha esplorato così a fondo in letteratura come gli scrittori russi dell’Ottocento, i quali ancora oggi dettano le coordinate – anche cinematografiche – per scandagliare le più cupe profondità dell’animo umano.
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