
A Chiara – Cinema a braccia aperte
Il cinema è la messa in scena di uno sguardo. È un concetto vecchio quanto i Cahiers du cinéma e inflazionato nella misura che separa l’anno di fondazione della celebre rivista francese dall’ultimo film di Jonas Carpignano. È difficile però non tornare a quella semplice idea quando si passa per gli occhi del regista di Mediterranea e A Ciambra, occhi che ricordano il miglior cinema contemporaneo, fatto di storie classiche, piccole nella scala ma narrate nei luoghi e con i personaggi mai toccati prima dallo strumento cinema. Nel precedente A Ciambra si trattava di conoscere il mondo alla rovescia di Pio, adolescente rom determinato a provvedere al mantenimento della famiglia zingara nel labirinto della piccola malavita notturna. In A Chiara, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes 2021, Carpignano sposta la macchina da presa qualche metro più in là, abbastanza per varcare la soglia di casa di una famiglia piccolo borghese e della figlia adolescente protagonista.

Chiara è una quindicenne inquieta come tante. La vediamo litigare con le sorelle, scherzare con l’adorato padre e uscire con le amiche in un apparente normalità liceale nel microcosmo umano di Gioia Tauro. Quando però, la sera della festa di compleanno della sorella, il padre fugge nella notte e la macchina di famiglia viene data alla fiamme, il piccolo mondo di Chiara viene sconvolto. Sui notiziari locali spuntano le parole “affiliato mafioso” e per la protagonista inizia una corsa a perdifiato, contro tutto e tutti. Una fuga per ripercorrere le orme del padre, alla ricerca della possibilità di guardare la verità in faccia con i suoi stessi occhi.
A Chiara è l’Ideale conclusione della trilogia cinematografica dedicata da Carpignano alla sua amata Gioia Tauro. Tre film accomunati non solo da confini geografici ma da un vero e proprio sguardo dell’anima su un’umanità ai margini, che sia un emigrato in fuga dal Burkina Faso o un bambino rom tabagista incallito. Un cinema in cui qualsiasi tentativo di giudizio morale contro o a favore è azzerato in una prossimità registica che chiede prima di tutto di stare con loro, passare per i loro occhi nel guardare un mondo talmente distante per lo spettatore che prima deve essere compreso nella normalità dei personaggi che lo vivono.

Se però nelle storie di Ayiva e Pio era lo spettatore stesso a doversi allineare allo sguardo dei protagonisti, tanto che la matrice di scrittura era idealmente sovrapponibile alle vicende personali degli stessi attori, nel caso di A Chiara la protagonista si avvicina molto di più al pubblico. Per Swamy Rotolo, la bravissima debuttante calabrese interprete di Chiara, la vicenda del personaggio non ha particolari elementi in comune con la sua vita privata, pur mantenendo, come nelle due opere precedenti, un cast di comprimari composto dai reali familiari dell’attrice. È proprio da qui che Carpignano inizia quindi uno scarto del punto di vista, quello di una adolescente in una vita apparentemente normale, incamminandosi su un’impostazione narrativa per lui inedita. Allo stesso tempo se A Ciambra sguazzava per ampie dosi del suo minutaggio in episodi semi-documentaristici, in A Chiara l’incedere drammaturgico è preciso e definito, determinato quanto la ricerca della verità per la sua protagonista.

A Chiara diventa quindi la messa in scena di quella stessa scoperta, un atto di comprensione cinematografico in tutta la violenza emotiva che ne consegue. Chiara si agita, cerca risposte negli sguardi indifferenti di famigliari e amici in un mondo che sembra stia crollando solo per lei. La regia asseconda questa ricerca spasmodica, sembra che l’unico modo possibile per Carpignano di riprendere Chiara sia inseguendola attraverso le sue camminate arrabbiate e silenziose. Rispetto ad A Ciambra vengono appianate le frenesie di montaggio e macchina a mano che caratterizzavano il vagabondaggio di Pio, Chiara è accompagnata con meno affanno, anche se in macchina rimane la sensazione costante di un’esplosione imminente, il rischio di perderla di vista alla prossima panoramica a schiaffo o pedinamento a seguire.

Un film che nel corso dei suoi centoventi minuti si gonfia e acquisisce peso mano a mano che si avvicina alla conclusione, passando per viaggi onirici e cunicoli sotterranei. A prima vista facili metafore del passaggio alla vita adulta della protagonista ma capaci di rappresentare vere e proprie stazioni di presa di coscienza per lo spettatore, alla scoperta di un nuovo mondo che considerava distante quanto la sua protagonista. Un percorso a tratti incerto e che in alcuni momenti lascia l’impressione di girare a vuoto. Eppure è difficile rimanere indifferenti quando Carpignano decide di scaricare tutto il peso emotivo di questa fuga in un terzo atto potentissimo. Con gli occhi sgranati della sua Chiara osserva l’apparente miseria dei suoi personaggi con un’onestà e cruda tenerezza che hanno dell’incredibile. E quando il padre di Chiara sussurra “Io sono questo” ci ricorda come lo sguardo di Carpignano abbia pochi rivali nel panorama cinematografico contemporaneo. Quello di chi è capace di osservare i suoi personaggi con pudore, mentre si presentano a braccia aperte e ci raccontano chi sono.
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[…] A Chiara di Jonas Carpignano. Il buco di Michelangelo Frammartino. Tornando indietro di appena un anno, anche Assandira di Salvatore Mereu – per non parlare del cinema di Alice Rohrwacher. A dieci anni dalla morte, inizia a cogliersi in maniera sempre più forte l’eredità di De Seta sul cinema italiano e internazionale. La sua più grande scommessa, e la sua più grande lezione per quello che è il “cinema del reale” dei nostri anni, è stata quella di abitare i luoghi che narrava – una scommessa raccolta in particolar modo da Carpignano, che è arrivato a trasferirsi a Gioia Tauro, dove sono ambientati i suoi ultimi film. Ma a tornare indietro fino ai primissimi corti di De Seta, fino a Isole di fuoco e Lu tempu di li pisci spata, emerge una lezione ancora più folgorante, un caso più unico che raro di decentramento registico: da quelle vecchie bobine in 16mm si sente ancora, sommessa ma calda, molto più che un’interpretazione documentaristica o uno sguardo d’autore – la voce in prima persona di un mondo perduto colta a pochissimi anni prima della sua fine. Le lucciole un attimo prima della loro scomparsa, se vogliamo. […]
[…] Per Jonas Carpignano il cinema è un atto di comprensione morale attraverso lo sguardo. A Chiara segna un nuovo corso nel cinema del regista di A Ciambra, per la prima volta attento a una scrittura drammaturgica ben definita e libero di abbandonare molti stilemi da cinema del reale che lo avevano caratterizzato fino a qui. La via crucis della protagonista alla ricerca del padre scomparso si trasforma nella messa in scena di quello stesso atto di comprensione per lo spettatore, uno sforzo lungo un intero film, necessario per arrivare a guardare il mondo con gli stessi occhi di un regista ormai unico nel panorama italiano. Mattia Napoli / Leggi la recensione […]
[…] completando il montaggio del suo ultimo lungometraggio, “A Chiara” (di cui trovate qui la nostra recensione). Con lui abbiamo parlato dei suoi film, Mediterranea e A Ciambra, di cinema […]