
France di Bruno Dumont – La tristezza del vuoto
«Volevo la notorietà, ma ora non la sopporto più… Non sopporto lo sguardo delle persone». France de Meurs è una rampante giornalista televisiva nota per le dirette elettorali e i reportage in Medioriente. Un giorno tampona la moto di un giovane marocchino e cade in depressione, vittima di quello stesso sistema mediatico e del mutismo dell’analista che la scruta senza proferire parola. Arriva persino a offrire dei soldi alla famiglia del ragazzo, ingenuamente convinta di poter comprare la serenità e tornare alla sua routine. France bruno dumont
Da qui, dall’ineluttabilità della rottura, il desiderio di rigenerazione. Il marito, scrittore assai meno celebre, la accompagna quindi in una clinica svizzera, di quelle che «ti rimettono in piedi in due settimane». Là France conosce un misterioso insegnante di latino che le fa girare la testa. Ma le cose non andranno come lei sperava e, anzi, quello sconosciuto si rivelerà l’ennesimo ingranaggio di un mondo senza pietà.

Il regista Bruno Dumont mette da parte la poesia rivoluzionaria del suo cinema recente, e con France azzarda la strada corrosiva della satira sociale. Quella della protagonista sarebbe potuta essere una vera e propria via crucis, un crescendo di sofferenza in grado di moralizzare lei e il pubblico. Ma al regista non sembra interessare questa via di racconto. Come il signor de Meurs, preferisce pubblicare un saggio vivace piuttosto che scrivere l’ennesimo romanzo strappalacrime.
Il film è in effetti un’opera di ricerca, e in quanto tale si rivela presto didascalico e ridondante. Una scelta non facile, antimelodrammatica, senza dubbio complicata da portare sullo schermo. Eppure l’operazione riesce laddove riflette la realtà che sta raccontando: la prevedibilità dei media, l’anaffettività della gente, la paura del silenzio e la tristezza del vuoto. Insomma, di nuovo e per sempre, la forma è il contenuto. France bruno dumont

In particolare, si lavora sul corpo magnetico di Léa Seydoux. L’attrice è inquadrata, per lo più in campi medi che ne imprigionano anima e sguardo. La vediamo spesso meditare sulla sua situazione, fissando qualcosa oltre il quadro. Eppure restiamo lì, anche noi incapaci di uscire dalla trappola che abbiamo voluto. Un’intera carriera basata su sè stessa, sull’idea di poter filtrare la realtà per i telespettatori: «Voi giornalisti siete come noi politici: andate a caccia di seguaci», le dice un ospite del suo programma.
Ma questa è una questione che, nell’epoca dei Social Network e degli influencer professionisti, pertiene tutti e interroga la Storia. Nonostante la distanza dettata dalla regia, quindi, non è possibile non riconoscersi nell’ambiguità emotiva ed etica di France de Meurs. Il nome stesso ne suggerisce l’allegoria: un Paese europeo e la declinazione del verbo “morire”. Un’idea di presente che non lascia scampo.

«Non sono felice, ma non sono nemmeno infelice» prosegue la protagonista di France in quella seduta. Ma è davvero consapevole di cosa ciò significhi? La giovane donna vive nella totale assenza di responsabilità. Sul lavoro pensa a tutto la sua cinica ed esperta assistente, a casa il figlio preadolescente è fuori controllo, il marito è persino più narcisista di lei e vive con insofferenza la disparità di guadagni. France bruno dumont
Queste mancanze però non si erano mai palesate alla coscienza di France prima dell’incidente. Aveva sempre vissuto come fosse una bambina, e forse non è un caso se in francese “jouer” sia “giocare” ma anche “recitare”. France mette in scena la sua vita in ogni momento, costruendo un’immagine pubblica che esiste solo finché non cambia in un’altra. Si vede spesso, pretende di apparire, ma non si guarda mai veramente. O almeno non lo aveva mai fatto finché la stampa non l’ha mostrata diversamente.

È proprio qui, nella spietata precisione delle sue rivelazioni, il film di Dumont colpisce nel segno. Quale che sia la verità su questo assurdo sistema, il nostro contemporaneo sceglierà sempre la via facile della mistificazione e rimuoverà tutto per continuare a vivere umiliandosi. Non a caso il finto insegnante di latino tornerà promettendo amore e accampando scuse. E alla fine France accetterà di riprenderlo perché vuole credere di poter vivere con la faccia rivolta alla violenza.
Con una piccola accortezza però: gli occhi chiusi. Perché alcune cose possiamo saperle, ma se non le vediamo non dobbiamo occuparcene. Da qui l’ultimo intenso primo piano, impossibilitato a reggere lo sguardo troppo lungo dell’obiettivo perché vorrebbe dire scrutarsi. La critica ha accusato France di non tenere saldo il volante, ma è evidente che per l’autore lasciarlo andare era l’unico modo di sentirsi vivo.
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[…] Bruno Dumont si conferma tra gli autori europei più acuti e con France raggiunge forse l’apice della sua vena satirica. Il corpo magnetico e vibrante di Léa Seydoux catalizza l’attenzione sul vuoto che si cela dietro la narrazione del dolore. Attorno alla giornalista protagonista impera la menzogna, lo spietato mondo dei media, della cronaca fatta spettacolo, della vita recitata ad ogni costo. Un cinema di emozioni frustrate e rimosse oppure mostrate e non sentite, messe in scena, mai rielaborate. Un gioco al massacro in cui non si salva nessuno. Alessandro Amato / Leggi la recensione […]