
A Star is Born – Sulla scia di una stella che continua a splendere
Realizzare il remake di un film porta sempre con sé il rischio di deludere le aspettative. Se poi si tratta di A Star Is Born, di cui esistono tre versioni precedenti, la più nota delle quali è diretta da George Cukor e interpretata da Judy Garland, la posta in gioco si alza. Nonostante l’imponenza di certi nomi, Bradley Cooper, al suo esordio da regista, realizza nel 2018 l’adattamento più fortunato dell’opera, recitando (e cantando) accanto a Lady Gaga, icona della musica pop fortemente voluta come co-protagonista: già apparsa in alcuni film (come Sin City – Una donna per cui uccidere, 2014), l’interpretazione le è valsa il Golden Globe e il premio Oscar per la canzone Shallow, che si aggiungono al Golden Globe alla Miglior attrice in una miniserie o in un film per la televisione vinto per American Horror Story: Hotel nel 2016 e alla collezione di 12 Grammy Awards.
Come è noto, la storia è ispirata a What Price Hollywood, lungometraggio del 1932 diretto da George Cukor, in cui una giovane cameriera e aspirante attrice viene scovata da un regista hollywoodiano, con problemi di alcolismo, che la renderà una celebrità.
Cinque anni dopo David O. Selznick, produttore esecutivo della pellicola, propone allo stesso regista il soggetto di A Star Is Born, scritto da Robert Carson e William A. Wellman: sarà quest’ultimo, dopo il rifiuto di Cukor di realizzare un film molto simile al suo, a dirigere la versione del 1937. Cukor raccoglie, però, la sfida nel 1954, presentando un remake in cui la vicenda è narrata come un musical, genere esplorato da lui per la prima volta, distanziandosi con questo elemento di novità dal dramma originale. La sua versione di A Star Is Born e quella più recente di Cooper rappresentano il frutto più riuscito del lungo percorso del film.

Al centro vi è la storia d’amore pura e senza tempo di una coppia che condivide la passione per un’arte (la recitazione nel primo, la musica nel secondo), libera da dinamiche di competizione o prevaricazione: Norman Maine lascia che i riflettori puntino tutti su Esther, in arte Vicki Lester, abbandonando le scene, felice del successo della futura moglie; Jackson Maine suona in diversi concerti con Ally, per poi ritirarsi dal palco da cui la cantante scalerà tutte le classifiche musicali.
In entrambe le versioni i due protagonisti maschili, nel camerino, aiutano Vicki e Ally a struccarsi il volto che, secondo gli addetti ai lavori, si discosta dai canoni estetici del mondo dello spettacolo, per mostrarsi con verità e autenticità. Ma anche le protagoniste sono pronte a sacrificare la propria carriera per sostenere la persona amata: grate di far parte di un mondo prima visto solo da una vetrina, rimangono con i propri compagni per amore, nonostante l’alcolismo del partner rischi in più occasioni di rovinare la loro immagine.
La versione di A Star Is Born del 1954 rivela l’altra faccia di Hollywood, meno patinata e lontana dalla perfezione, una “fabbrica dei sogni” il cui imperativo è vendere e costruire un’immagine ad hoc per la stampa, che non perdona alcun cedimento alle celebrità, le cui mosse, parole e comportamenti sono premeditati dai produttori e dai manager per non compromettersi.
Il film invita a guardare oltre il luccichio dello star system (al suo tramonto all’epoca), che non ha alcun riguardo dei problemi di alcolismo di un attore, gettandolo nel dimenticatoio se non è più un prodotto vendibile.
Nel film di Cooper, la riflessione sull’industria dello spettacolo risente di un contesto storico in cui la pressione dei media è notevolmente più forte: il concetto di star come oggetto tangibile e consumabile si evolve nella figura di Jackson Maine, a cui i fan scattano foto come se non fosse una persona reale ma un fantoccio malleabile e creato per intrattenere.
La storia d’amore è accompagnata dal dramma dei protagonisti maschili, mai oscurati dalle compagne ma solo da loro stessi e dall’incapacità di gestire la dipendenza sotto cui si celano motivazioni più profonde e rapporti controversi con la figura paterna.
Di contro alla parabola discendente dei due uomini legata all’alcolismo, che segna un declino della carriera e un graduale ritiro dalle scene, si staglia quella in ascesa delle protagoniste, figure iconiche dalla voce inconfondibile che illuminano, con la loro autenticità, entrambi i film.

Nel musical di Cukor, Judy Garland vivacizza gli spazi chiusi e angusti del set con un’interpretazione genuina e sincera – in particolar modo nei numeri musicali e ballati in cui talvolta i gesti sono improvvisati – che risalta le sue doti attoriali e canore, già apprezzate nei panni della piccola Dorothy.
Il film, come si è accennato, è attraversato da un discorso meta-cinematografico che si declina non solo nella riflessione puntuale su Hollywood, ma anche attraverso la scelta di mostrare la realizzazione dei film che permetteranno a Vicki Lester di vincere l’Oscar e a Judy Garland di sfoggiare il suo estro per quasi tutta la durata della pellicola.

Se la Garland al tempo era ormai un nome noto tra le Majors, la vera rivelazione nel lungo percorso di A Star Is Born è proprio Lady Gaga: nel misurarsi con un set cinematografico dimostra una credibilità che conferma la natura camaleontica con cui la si identifica nella scena musicale e la consacra ad astro nascente del cinema, complice anche la chimica con Bradley Cooper, che l’ha resa davvero una stella.
Le doti canore e l’estensione vocale della cantante sono ben note, ma quel che sorprende è la sincerità, al pari della Garland, della sua interpretazione, la semplicità con cui veste i panni di Ally, scrivendo una sorta di sua autobiografia, dalla gavetta agli ingiusti commenti sull’aspetto fisico. All’inizio del film, che abbandona le vesti del musical, il cinemascope e i camerini di Hollywood, Ally canta in un nightclub in uno spettacolo di drag queen, evocando il periodo in cui Lady Gaga si esibiva in un bar burlesque di New York: in questa scena la ragazza è truccata in modo stravagante, strizzando l’occhio ai costumi eccentrici e alle performance provocatorie della cantante, ma il personaggio di Ally rimane lontano dai glitter e dalle maschere di Lady Gaga, trovando invece spessore nella sincerità della sua musica e nell’intensità della voce, in cui si riverbera la sicurezza e forza d’animo della sua interprete.

La complicità con Jackson e la passione che trasuda in ogni sguardo, nei sacrifici e nell’affetto che supera qualsiasi difficoltà, rendono A Star Is Born una storia d’amore universale, fatta di compromessi e di felicità reciproca e condivisa, che non ha nulla a che vedere con la Bad Romance che Lady Gaga cantava nel 2008. L’amore raccontato nel soggetto originale sopravvive ai tempi che cambiano, senza mai smettere di emozionare lo spettatore.
Del resto, come afferma il fratello di Jackson alla fine del film: «Jack diceva che la musica è di fatto dodici note tra un’ottava e l’altra. Dodici note e l’ottava si ripete. È la stessa storia, raccontata di continuo. In eterno. Quello che un artista può offrire al mondo è solo il suo modo di vedere quelle note.»
Nel cinema, come nella musica, tutte le storie sono state già scritte. A Star Is Born, nelle sue quattro versioni, presenta sempre lo stesso plot, ma la sua fortuna risiede nei modi in cui questa storia viene riportata sullo schermo e nell’intensità di chi la racconta, come Judy Garland e Lady Gaga, stelle luminose in un firmamento che non smetteremo mai di guardare.
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