
Girl – Una storia raccontata in punta di piedi
En pointe, in punta di piedi, è l’approccio che Lukas Dhont adotta in Girl, primo lungometraggio del regista e sceneggiatore belga, per raccontare la delicata storia di Lara, adolescente che ha da poco iniziato un percorso di transizione per un corpo che non percepisce come suo. Districandosi tra i momenti di pura quotidianità col padre e il fratello e la terapia ormonale, Lara frequenta al contempo una prestigiosa scuola di danza classica dove, tra prove ed esercizi, deve perfezionare il ballo en pointe.

La macchina a mano di Dhont non perde mai di vista la giovane, che si muove esitante tra i corpi in body blu delle altre ragazze, coprendosi, a testa china, negli spogliatoi; Lara è sempre colta in mezzo alla folla, nella sala da ballo, in metropolitana o per strada, esprimendo quel confronto naturale che la giovane fa con gli altri, apparentemente sicuri della propria identità come non lo è lei. Tale senso di non appartenenza si manifesta nella fretta di coronare questo percorso duale tracciato dal lungometraggio, quello di transizione e quello di diventare una ballerina completa, vissuti con sudore e sofferenza malcelati dal sorriso bonario che Lara ha deciso di indossare per soffocare le sue emozioni, così come nasconde, agli altri ma soprattutto a sé, il suo organo maschile.
In un’opera sul corpo e sulla sua accettazione, Dhont decide di far parlare proprio la dimensione fisica, concentrandosi sui piedi corrosi dall’esercizio, le tracce rossastre del nastro adesivo strappato, l’eleganza di una posizione di danza: il gesto prevale sulla parola in un film in cui conta il non detto, il sottotesto dei dialoghi tra padre e figlia, e in cui ad essere davvero eloquenti sono gli sguardi e le immagini confezionate dalla fotografia di Frank van den Eeden, i cui toni caldi colorano il grigio del Belgio.
Tutto ciò deriva dall’approccio silenzioso con cui, dalla soglia della porta, il regista osserva la crescita di Lara e tramite il quale lo spettatore capisce di cosa tratterà la sua storia, tema mai espresso in modo didascalico ma rivelato gradualmente, lasciandogli lo spazio e il tempo che merita.

Con tale scelta narrativa, in Girl Lukas Dhont si dissocia dal tipo di rappresentazione visiva cui ci hanno abituato i nuovi media e i social networks, nei quali spesso vi è un’estetizzazione della violenza e la morbosità di mostrare l’inaccessibile.
La via percorsa dal regista si ispira invece alla lezione della grande tragedia greca che, pur non ammettendo la morte e, per estensione, i momenti più drammatici sulla scena, suscita una riflessione ed evoca immagini più potenti di una sequenza esplicita.
In questo senso l’intimità di Lara non viene mai mostrata con invadenza ma tramite il suo volto, gli occhi chiusi di chi non vuole vedere il suo corpo, le braccia che la proteggono e la custodiscono sotto la doccia dello spogliatoio.
La componente delicata e implicita del film è espressa dal frequente uso del fuori campo interno della ragazza, presente cioè nell’inquadratura ma celato da un elemento profilmico che, in questo caso, è il personaggio stesso.
Un precedente arcinoto è M – Il mostro di Düsseldorf (Fritz Lang, 1931), che del fuori campo ha fatto la sua cifra linguistica: quando il mostro compra il palloncino a una bambina è ripreso di schiena, accentuando il mistero sull’identità dell’uomo. Anche Lara, in alcune scene di Girl, è ripresa da dietro, occultando le sue azioni e le sue espressioni, ma manifestando comunque la sua inadeguatezza; tale scelta compositiva richiama la poetica del non detto di cui è intessuto il film, che rinuncia alla strada più accattivante di esibire gesti e situazioni più estreme, raccontati invece da immagini più potenti e simboliche, come il palloncino impigliato tra i cavi del telegrafo in M – Il mostro di Düsseldorf.

La storia della protagonista ci presenta una sfaccettatura del rapporto spesso controverso con il proprio corpo: quello di Lara è un percorso di crescita definito, come per ogni adolescente, da una tensione del fare e raggiungere l’obiettivo bramato, è una corsa contro il tempo di cui si vogliono accorciare le distanze, anche se è giusto che siano dilatate.
L’importanza di Girl risiede dunque nel saper raccontare con tatto e sensibilità i tentativi di accettazione del corpo, involucro non necessariamente rappresentativo della propria identità, e il cambiamento – dalle sue gesta nella danza alle ferite che Lara riesce a rimarginare – come celebrazione della propria, vera, essenza. girl lukas dhont
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