
Upload – Paradisi artificiali e lotta di classe su Amazon
Stiamo dando ai mondi seriali il compito di indagare i mondi possibili. La distopia e la fantascienza, in generale la costruzione di dimensioni alternative, trovano spazio nella struttura episodica, eminentemente narrativa, che può articolare un profondo discorso di worldbuilding. La sfida di Upload (Greg Daniels, 2020), fra i cavalli di battaglia degli originali Amazon Prime Video, è di immaginare il futuro della morte, un futuro legato indissolubilmente a prospettive capitalistiche e distopiche.
La dramedy fantascientifica Upload ha come protagonista Nathan Brown, giovane programmatore che, a seguito di un grave incidente d’auto (una self-driving car, per meglio entrare nel contesto), evita la morte venendo uploadato in uno dei tanti paradisi virtuali dove vengono raccolti e digitalizzati i backup delle menti delle persone, nella speranza di un futuro download in nuovi corpi sani. Qui la serie si sdoppia, per così dire, in percorsi che scopriremo essere intrecciati: da un lato, si indaga sulla morte (leggasi “omicidio”) di Nathan e sul perché i dati legati ai suoi progetti informatici siano stati insabbiati; sull’altro binario, si esplora l’utopia dei paradisi, scoprendola come distopia capitalistica.

Nei fatti, il futuro paradiso di Upload è molto simile a una deriva assolutizzante del nostro rapporto con gli smartphone: a una (costosa) tariffa fissa si sosta in un paradiso dove sono disponibili acquisti in-app che rispondono a ogni desiderio – tutto è possibile, anche camminare sull’acqua –, purché il proprietario possa permetterselo. Già, perché nei bassifondi del nostro locus amoenus digitale ci sono nientemeno che i 2-gigas, gli uploadati che dispongono di dati limitati, dopodiché vengono disattivati fino alla fine del mese. Per la verità anche nel mondo dei vivi ci si fonda sulla logica dello smartphone come “ergonomia del reale”, anche in modo pervasivo e grottesco: ne è testimone, per esempio, l’emoji della preghiera posta a mo’ di segnaletica su una chiesa.

Tornando al tema principale della serie, è chiaro che il futuro immaginato da Upload non è un futuro dove la morte è stata sconfitta, ma dove è divenuta monopolio di grandi società le quali hanno, anzi, sconfitto la vita stessa, in una prospettiva capitalistica (e weberianamente calvinista, si potrebbe aggiungere). Qual è il senso della vita? Essere sufficientemente ricchi da potersi permettere il piano tariffario del paradiso. Un mondo dove non ha più senso nemmeno combattere la morte, dove anzi essere uploadati in paradiso è l’apice della propria vita “terrena”. Un panorama che amplifica però le distanze fra ricchi e poveri, spostando la lotta di classe dal piano materiale al piano virtuale. E, attenzione, Upload non nasconde questa linea di interpretazione fra le righe, con la coda tra le gambe, ma la espone chiaro e tondo: quando per la prima volta vediamo i 2-gigas ci viene detto senza giri di parole che questo è il “capitalismo” (letteralmente). Non solo: l’evolversi stesso della trama è fondato su un plot twist che pone al centro il superamento della dinamica di classe vigente nei paradisi artificiali.
Insomma, siamo di fronte a un remake concettuale di Ready Player One (S. Spielberg, 2018), dove ci si chiedeva che senso avesse vivere nel mondo reale se il virtuale era migliore – con annessa critica al capitalismo – e anche a una sorta di prequel spirituale del concept di Altered Carbon (L. Kalogridis, 2018-2020), dove la morte è già un backup in un nuovo corpo e la società si distingue tra chi può permettersene uno nuovo e giovane e chi invece è destinato alla cancellazione o archiviazione.

Pare inoltre che il racconto comune delle serie distopiche e fantascientifiche sia spesso legato a un discorso sulla morte, che in fondo è banalmente da sempre l’incubo dell’umanità. Il riferimento a Black Mirror (C. Brooker, 2011-in corso), regina delle serie distopiche antologiche, dove più di una puntata riflette sul futuro della nostra dipartita – in particolare San Junipero (stagione 4, ep. 3) – è quanto mai scontato. E siamo purtroppo vicini ma lontani dal dolce e delicato – utopico? – viaggio spirituale di The Midnight Gospel (D. Trussell, P. Ward, 2020) verso l’accettazione del Nulla finale. Upload sembra quasi voler dire che siamo così spaventati dalla morte da essere disposti a rovinarci la vita per essere digitalizzati in un limbo che replica le medesime dinamiche di deprimente sperequazione.
Infine, non resta che da chiedersi da chi venga questo facile – seppur godibile – anticapitalismo. Nientemeno che da Amazon, che ha tutto l’interesse nel trasformare in comedy una metafora della distopia che essa stessa contribuisce a costruire e che, anzi, la vede all’apice della catena alimentare con un modello di business tutt’altro che innocuo. Forse aveva ragione Guy Debord, il capitalismo è ora fondato sulla produzione di spettacolo, e la lotta di classe è più facile se vista in streaming.
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