
Intervista a Gianluca Castellini, direttore artistico di Sedicicorto Film Festival
Nell’ambito della nostra presenza a Forlì in qualità di media partner di Sedicicorto International Film Festival abbiamo raggiunto il fondatore e direttore artistico Gianluca Castellini, che ci ha detto la sua sullo stato delle cose in un anno che vede Sedicicorto come primo festival totalmente di cortometraggi a portare online la propria selezione grazie a MyMovies.
Diciassettesimo Sedicicorto Film Festival, dopo tutte queste edizioni “se dici corto” a cosa pensi?
Penso che è durissima rimanere dentro a questo mercato artistico, ogni anno si parte con delle grandissime idee che poi devono essere accompagnate da un budget che non sempre corrisponde. Ogni anno è veramente una nuova sfida, non per mancanza di idee ma per reperimento di risorse. E quindi “se dici corto” penso veramente alle origini, quando nel 2004 ho iniziato questo piccolo sogno nel cassetto con due spiccioli, non c’erano aspettative perché era la classica edizione zero dove tutto quello che veniva era percorso guadagnato.
Già, e pensa dal 2004 a oggi quanti festival di cortometraggi sono nati dopo di voi, in molti casi ispirandosi proprio a Sedicicorto.
Questo non lo so, ma pensa anche a quanti ne sono morti! Io ricordo che le nostre origini derivano da un festival, da spettatore del festival di Bellaria ho avuto il mio primo colpo di fulmine e ho pensato che anche a Forlì si poteva creare un festival di cinema, così quando c’è stata l’occasione, dopo un corso di regia a cui partecipai, è nata l’idea di poter far decollare un festival.
Mi interessa il tuo parere su un’annosa questione: il cortometraggio è un tramite o un traguardo? L’altro giorno il messaggio di Jafar Panahi a Sedicicorto ci ha fatto intendere che per lui il corto è una grande occasione per esprimersi, ma magari, dico io, registi emergenti lo trattano più come un mezzo per arrivare al lungometraggio. Invece secondo te come va trattato il cortometraggio, cosa consiglieresti a chi intraprende questa strada?
Da operatore italiano sono influenzato dalla mentalità italiana che ancora oggi vede il cortometraggio come passaggio per arrivare al lungo ma questo è un preconcetto molto italiano, già in altri Paesi non è così. No io lo vedo proprio come un genere a sé, io per esempio mi trovo dei registi ultracinquantenni che ogni anno mi fanno una proposta di nuovi cortometraggi e quindi mi chiedo perché si dilettino così tanto col cortometraggio: la risposta è che ci credono, perché è una passione, senza contare che la realizzazione di un corto richiede una messa in campo di risorse abbordabile, quindi piuttosto di tenere chiusa nel cassetto un’idea, la si fa sfociare in un corto.
È presto per commentare i dati di Sedicicorto su MyMovies o puoi già dirci qualcosa?
La parte online del festival avrà una coda di altri tre giorni rispetto all’edizione in presenza, ma da MyMovies già adesso ci dicono che il numero di spettatori è già oltre le aspettative. Noi non avevamo parametri o schemi a cui appigliarci per le previsioni, siamo stati il primo festival totalmente di corti a provare questa strada, quindi era difficile fare previsioni.
Cosa cerchi in un corto quando selezioni per Sedicicorto? Cosa fa spiccare un corto tra le migliaia di proposte che vi arrivano a ogni edizione?
Lascio perdere il concetto di originalità perché credo ci si inventi poco, però sicuramente quello che credo debba avere un corto è il giusto livello di pathos, un impatto emotivo, un’emozione che mi colpisce, al di là dell’estetica oggettiva: non mi innamoro tanto di un corto oggettivamente bello, mi innamoro di un corto che riesce a trasmettere qualcosa, indipendentemente dal tipo di storia. Poi non sempre tutti ti colpiscono allo stesso modo, dico sempre che nella selezione se hai un colpo di fulmine all’anno è già tanto, in 17 anni i corti di cui sono veramente innamorato sono 4 o 5 e me li porterò fissi per sempre nella mente.
E per caso di questi 4-5 autori qualcuno ha fatto strada anche al di fuori del circuito festivaliero?
Sì, uno per tutti, Denis Villeneuve, che aveva mandato un cortometraggio per me incredibile, Next Floor, e lì già si vedevano delle capacità fuori dalla media.
Quanto conta, se esiste, se l’hai riscontrata, la collaborazione tra festival e cosa possono fare secondo te i festival per crearsi, insieme, uno spazio nonostante questo momento così difficile?
Secondo me potrebbero fare veramente tanto per creare un’offerta in periodi fuori dal periodo festivaliero; noi durante l’anno cerchiamo di organizzare delle combinazioni, a volte con festival a volte con sale cinematografiche: è già il secondo anno che collaboriamo con Il Cinemino di Milano, a volte altri festival ci chiedono collaborazioni e noi siamo sempre disponibili. Non trovo però un grande spirito collaborativo, in generale, sono pochi i festival con cui riusciamo a collaborare, ma non perché ce li scegliamo, è che sono pochi i festival “permeabili”, c’è sempre una forma di…
Molto italiana anche questa…
Esatto, molto italiana
E poi molti festival finiscono, il giorno dopo chiudono tutto e magari riaprono dopo 9 mesi.
Esattamente, e quando tu fai una proposta magari ti viene chiesto “cosa c’entra col mio festival?”: per me durante l’anno devi offrire qualcosa al tuo pubblico, serve come fidelizzazione, serve per testare nuovi territori. Lo dico sempre, noi il giorno dopo aver chiuso il festival iniziamo l’edizione nuova, ma in realtà è una bugia, noi l’abbiamo già iniziata l’edizione nuova, ho già in casa il visual dell’anno prossimo, ho già tre sezioni che mi sono costruito, siamo molto metodici in questo perché maciniamo già durante l’anno e pensiamo a idee future. Per esempio, ci piacerebbe partecipare a una fiera in Francia e cerchiamo dei partner con cui condividere uno spazio, perché al di là dell’aspetto economico ci sembra anche utile condividere lo spazio con altri operatori, Il 60-70% di un festival nasce negli altri festival. Ti vengono altre idee, conosci delle persone che possono accompagnarti in un’edizione come giuria o per una masterclass. Solo che c’è questa forma di chiusura in alcuni festival, per esempio quest’anno per andare a Clermont-Ferrand, dove siamo stati capofila, ho avuto una difficoltà enorme a trovare quattro interlocutori che potessero condividere uno spazio. Un investimento peraltro piccolo se confrontato ai risultati che ti può portare, e che varrà per me sempre più di qualche centinaio di locandine stampate. Se pensi all’impatto che un’operazione del genere può avere a livello internazionale non c’è paragone, a Clermont c’è il mondo, hai l’occasione di scoprire gran parte delle possibilità che ci possono essere, noi per dire, le giurie le componiamo là, oltre ad acquisire dei film che saranno parte della prossima selezione. Per me è frustrante, è impensabile non si riesca a creare un pool dove tu rappresenti l’Italia e ti tiri indietro per una spesa in fondo irrisoria.
Qui penso che si dovrebbe prendere esempio dall’industria Italiana, non festivaliera, che invece ha nella partecipazione alle fiere uno dei suoi punti di forza. Forse quello che manca è il passaggio a una mentalità più vicina all’imprenditoriale che all’artigianale. C’è poca lungimiranza.
Come dicevo, il nostro festival finisce ma è già ripartito, per esempio siamo riusciti a raggiungere Panahi, anche in un modalità più semplice del previsto, ma è successo perché eravamo in gioco, se rimani a casa non trovi soluzioni.
E poi secondo me è proprio la passione degli organizzatori a trasparire nel festival che organizzano, si crea fisiologicamente un’atmosfera accogliente.
La nostra voce di spesa principale è sempre stata l’ospitalità, c’erano colleghi che mi davano del pazzo, ma questo tipo di pazzia ha un tornaconto in termini di immagine. Quest’anno è particolare, ma credimi che fino all’anno scorso tu vivevi una tre giorni dove incontri tantissimi registi e registe e dove si crea quel famoso clima festivaliero che dev’essere sempre ospitale. Non si tratta solo di rimborsi, ma di rapporti che si creano facilmente tra pubblico e addetti ai lavori, tra autori e organizzazione, qui da noi parli con tutti quelli dello staff senza problemi.
Nel futuro, anche a livello promozionale, terresti una sezione online? Può avere senso?
Assolutamente sì, in queste giornate stavo pensando che in generale stiamo demonizzando tutta la parte online, però succede che ci sono tantissimi spettatori che comunque non avrebbero la possibilità di venire a Forlì e si perderebbero l’evento. Rendere accessibile a una parte di pubblico una sezione online secondo me non toglie più di tanto al live ma va a rafforzare il tuo evento e allarga il tuo pubblico. A livello promozionale c’è un ritorno immenso. L’operazione MyMovies va letta così, in più se i dati mi vengono confermati siamo già a circa 300 abbonati e di questi i locali sono veramente pochi, quindi è tutto un pubblico che noi non avremmo avuto, che magari ci conosce di nome ma non avrebbe mai potuto vedere le nostre proposte dal vivo.
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