
E adesso… Che cali il sipario! – Omaggio a Franca Valeri
Le luci si spengono, è calato il sipario. Franca Valeri viene a mancare, poco dopo il suo centesimo compleanno. Poco prima che la morte venisse a farle visita, ad un Pino Strabioli con cui, parlando dell’età, dialogava («Franca sei arrivata a cento!») diceva lei: «Non è mica merito mio».
Franca Valeri «è un premio per tutti noi» (Pino Strabioli). Modello per qualunque attore, ha saputo costruire un modo di recitare, ha plasmato personaggi divenuti iconici, si è caratterizzata per la poliedricità con cui si è saputa muovere dal suo (primo) mondo, quello del teatro, fino alla sala di doppiaggio, dove ha prestato la sua voce e la sua forza comica alla Signora Packard del film d’animazione Atlantis – L’impero perduto (2001).
Il corpus di personaggi che l’hanno resa famosa è ampio e dipinge l’Italia del secondo Novecento. In particolare, sono tre quelli che hanno fatto storia: la Signora Cecioni, l’immagine della signora romana accasata; la Signorina Snob, la civettuola milanese (milanese era la Valeri), personaggio dalla frizzante parlantina, la cui comicità si fonda sull’invenzione di eccentrici sintagmi (il «clistere americano» che le fa la pelle color «Tiziano quarta maniera», «il color pompeiano pre-eruzione» di cui dipinge le pareti del suo studio); Cesira, di professione manicure, la cui testa è animata più dai sentimenti che dai pensieri. Sono queste tre donne alle quali si affiancano molti altri personaggi, come la moglie felice, felice di un matrimonio fondato sul dialogo sincero con il marito, talmente sincero che il marito non rinuncia a raccontarle delle sue avventure galanti, oppure la donna attratta dal mondo hippy, ovvero la borghese che, in ossequio alle mode, vuol convincere il marito ad indossare abiti eccentrici. Una lunga serie di personaggi che vivono con la Valeri, crescono insieme a lei, cosicché la Signorina Snob diventa poi Signora Snob e poi Anziana Snob, mentre la Signora Cecioni un personaggio che si è fatto largo nel repertorio dell’artista con un’autonomia tale da parlare «anche se non è interpellata, e quando parla è sempre protagonista» (Franca Valeri in Bugiarda no, reticente, Einaudi, 2010).
La forza comica della Valeri si fonda su un’esperienza profondamente innovativa: quella del Teatro dei Gobbi. Siamo alla fine degli anni Quaranta. Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli (futuro marito di Franca) e Franca Maria Norsa (il nome d’arte Franca Valeri è successivo) mettono in scena una formula teatrale fatta di parole e gesti. Niente di più. Niente scenografie, niente attrezzi di scena. Tutto ridotto al minimo, una formula teatrale fondata sulla sintesi e sulla rapidità. Un bagaglio culturale che la Valeri si porterà sempre dietro. Una comicità artigianale che ritroviamo, per esempio, in una delle tante interpretazioni della Signora Cecioni: eccola in scena su di una sedia, a chiamare telefonicamente ora uno, ora un altro, a dialogare con lui, attraverso un telefono che è evocato solamente dall’uso della mano. Una comicità fondata sul segmentare ogni singolo atto, persino il più microscopico sguardo. È così che agisce la Marisa di Arrangiatevi (regia di Mauro Bolognini, 1959), interpretazione che risulta memorabile, nonostante quello di Marisa fosse un ruolo marginale, secondario, che doveva convivere accanto ad altri talenti quali quello di Totò e di Peppino de Filippo.
Quelli fin qui menzionati non sono che alcuni tra i più famosi personaggi di un corpus amplissimo che viene a costituire una vera è propria eredità, un bagaglio di esperienze cui ciascuno può attingere a piene mani. In tal senso, non sarà certo casuale che Katia Follesa abbia avuto la Valeri quale modello, interpretando il monologo La Sora Cecioni per essere ammessa alla scuola di teatro, oppure che Daniele Gattano ricordi, accanto a Lella Costa e Anna Marchesini, Franca Valeri quale modello ispiratore. Due stand up comedian Katia Follesa e Daniele Gattano, che vedono in Franca Valeri una fonte di ispirazione preziosa. È questo un segnale eloquente della vitalità del modello che l’attrice rappresenta, che si presta ad essere fecondo anche in un genere da lei non praticato, la stand up comedy. È moderna, è a tal punto un evergreen che, nel Saremo del 2014, sale sul palco, insieme a tutti i suoi acciacchi, per regalarci insieme a Luciana Littizzetto un momento di genuina comicità.
Valeri sceneggiatrice, attrice ed anche scrittrice. Nell’ultima delle sue prose di taglio argomentativo (Il secolo della noia, Einaudi, 2019) tratteggia un lucidissimo ritratto della società contemporanea, attraverso l’analisi di un sentimento di baudelairiana memoria, la noia, «un sentimento eroico se ti afferra sulla tomba di un eroe o se lo vivi dietro un vetro in attesa di un amante ritardatario». Ma la noia che affligge la nostra società è più un torpore che nulla ha a che vedere con il nobile sentimento di cui ci parla l’attrice, è il segnale di un vuoto metafisico fotografato con lucida intelligenza e un certo distacco critico e ironico che le permette di non abbandonarsi ad essere una laudatrix temporis acti.
È spesso detta La Signora della comicità italiana, perché lei è stata il «primo comico donna» (così diceva lei di sé), e come tale non manca di essere definita nemmeno durante lo speciale a cura di Pino Strabioli che le è stato dedicato, Essere Franca, andato in onda il 31 luglio 2020 e per il quale Strabioli ha riunito coloro, ancora in vita, che hanno condiviso parte del loro cammino con Franca Valeri: Orsetta de Rossi, Lella Costa, Luciana Littizzetto, Urbano Barberini e molti altri. Non a caso ha affermato Paolo Poli (in Alfabeto Poli, a cura di Luca Scarlini, Einaudi, 2013) quanto Franca Valeri sia «straordinaria: si potrebbe fare la storia del teatro oppure del cinema con le sue citazioni. Quando mi dicono che sono l’ultima grande diva della scena italiana, rispondo sempre: no, c’è la Valeri».
Franca è poliedrica, è immensa perché si è cimentata in ogni impresa, accumulando esperienza, saggezza, talento che fanno di lei l’immagine più completa che un artista possa dare di sé e alla quale un artista possa aspirare. Ella è molte cose, l’autrice di prose di vario genere che indagano con sguardo lucido la realtà (accanto alle sopra citate, ricordiamo anche Le donne, Longanesi, 1961), di sceneggiature brillanti (sua quella de Il segno di Venere), l’altra metà di una vincente coppia comica, per esempio quella che si era venuta a creare con Nino Manfredi nella terza stagione di Linda e il Brigadiere (2000), oppure quella con Alberto Sordi ne Il segno di Venere (1955). Franca detestava le autocelebrazioni. Voleva che, se necessario, fossero gli altri a raccontare la sua vita perché lei era impegnata a viverla. Si porgeva sempre con umiltà, ma anche con acutissima ironia, esclamando «Che lusso!», dopo aver ottenuto il David alla carriera l’8 maggio 2020. Cala il suo sipario dicevamo. E Franca, forse, con la sua proverbiale arguzia risponderebbe «Me lo aspettavo!».
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