
L’eredità di Martha. Richard Move, Yvonne Rainer e le molte vite della danza | Speciale Graham
«Dancing is a very living art» sosteneva Martha Graham, perché solo danzando è possibile esprimere – attraverso l’azione – l’intensità di quell’energia vitale che difficilmente si ritrova nella parola, nella fotografia e nel ricordo. Ma allora come trasmettere questo prezioso valore associato al gesto, al movimento del corpo, se non continuando a danzare? Vien da chiedersi se Martha Graham si fosse posta questo dubbio e in quali termini data la particolare vicenda che ha visto protagonista l’eredità artistica (e non solo!) della più celebre danzatrice e coreografa statunitense, madre della modern dance.
There is a vitality, a life force, an energy, a quickening that is translated through you into action, and because there is only one of you in all of time, this expression is unique. And if you block it, it will never exist through any other medium and it will be lost.
In ambito coreico spesso la trasmissione di una tecnica e di un repertorio avviene attraverso il rapporto privilegiato maestro-allievo in una vera e propria forma di “trasmissione corpo a corpo”. Non sempre però l’eredità artistica è lasciata nelle mani di un’unica persona. Spesso un patrimonio performativo sopravvive grazie all’attività di un’intera compagnia che ri-significa quanto lasciato da un artista, nonostante l’ideatore venga a mancare, in un percorso alternato di continuità e variazioni. In questo caso, però mantenere in vita il patrimonio artistico di Martha Graham è risultato ben più difficile del previsto.

Un erede non all’altezza e il divieto di danzare
A meno di un mese dal suo 97esimo compleanno, Martha Graham morì designando come erede Ron Protas suo giovane assistente fidato a cui era legata da un profondo sentimento di affetto e riconoscenza da quando, negli anni Settanta, Protas l’aveva aiutata in un momento particolarmente difficile della sua vita. All’età di settantasei anni, infatti, Martha aveva danzato per l’ultima volta per poi abbandonare la scena a causa di problemi di salute. L’interruzione della pratica, per lei così carica di significato, le aveva causato un lungo periodo di depressione durante il quale aveva abbandonato anche l’insegnamento e l’attività di coreografa che era solita praticare con la sua compagnia – la Martha Graham Dance Company – fondata nel 1926 e oggi ancora attiva, nonostante le complicazioni che seguirono la morte della sua creatrice.
Protas assistette con estrema devozione Martha finché non ricominciò a occuparsi della sua compagnia e della sua scuola e così, pur essendo lui per formazione totalmente estraneo al mondo della danza (era infatti un giovane studente di legge che amava dedicarsi alla fotografia di scena), divenne il suo collaboratore più fidato e iniziò ad essere reso partecipe di ogni decisione relativa al Martha Graham Center of Contemporary Dance, fino a diventarne direttore dopo la morte della celebre danzatrice.

Inizia così la complessa vicenda dell’eredità di Martha Graham: la nomina di un unico erede, di fatto estraneo al mondo dell’arte, determina una serie di vicende paradossali che presto si tramutano in azioni legali. Protas, rivendicando di essere l’unico legittimo detentore dei diritti d’autore delle coreografie e del metodo di Graham, pretende l’assoluto controllo su ogni lezione, ogni allestimento, ogni forma di tributo legato a Martha arrivando a fare causa ai danzatori della Martha Graham Dance Company.
Per più di dieci anni la compagnia resta quasi del tutto ferma – ad eccezione di esibizioni non pubblicizzate e allenamenti privati inaccessibili al pubblico – e i ballerini a cui la stessa Martha aveva insegnato temono di veder morire la sua danza, la sua tecnica e le sue coreografie. Solo dopo una lunga e dispendiosa battaglia legale la Martha Graham Dance Company può tornare in scena.
I mille volti dell’eredità di Martha
Fortunatamente alla diatribe legali che fanno da sfondo a questa bizzarra vicenda – che è comunque un monito a interrogarsi sul futuro dell’eredità artistica e del diritto d’autore – fa eco una straordinaria capacità di sopravvivenza della danza stessa che si accompagna, inevitabilmente, a una buona dose d’inventiva. Si delineano così percorsi inediti di trasmissione che raggiungono risultati del tutto inattesi.
L’immortalità della fama di Martha, infatti, nonostante la paralisi forzata della sua compagnia, è alimentata negli anni Novanta da Richard Move che incanta, diverte e divide pubblico e critica grazie alla sua celebre performance Martha@… . A partire dal 1996 Move porta in scena questo spettacolo che riunisce alcuni pezzi delle più celebri coreografie di Martha che viene rievocata anche nel modo di parlare, nei gesti, nell’abbigliamento e nel modo di atteggiarsi attraverso un attentissimo lavoro di ricostruzione basto su un lungo periodo di studio e ricerca.

La performance consiste sostanzialmente in un monologo di Martha – che si presenta naturalmente come «the mother of contemporary dance» – e intrattiene il pubblico con sottile comicità e citazioni da più di trenta coreografie quali Lamentation, Clytemnestra, Episodes and Phaedra. Nonostante alcuni critici abbiano biasimato Move accusandolo di infedeltà all’originale e sostenendo che Martha@… si limitava a fare la parodia di una grande artista nei panni di un travestito, la performance di Move ha riscosso grande successo a livello interazionale incontrando l’approvazione dei danzatori della compagnia di Martha costretti all’epoca all’immobilità e alla clandestinità.
The body as archive (of Martha Graham)
L’inventiva di Move delinea così un’accezione sottile del verbo to drag (letteralmente trascinare, tirare con grande sforzo) nel senso di portare oltre, tanto da far arrivare “Martha” a compiere azioni che non ha avuto modo di realizzare, ma che forse avrebbe apprezzato. Tra queste sicuramente spicca la lezione di danza presa da Yvonne Rainer – coreografa, danzatrice e regista statunitense che per breve tempo fu allieva di Martha così come Move – che in questo video le illustra con pazienza i passi della sua celebre danza Trio A (1966) parte del complesso lavoro The Mind Is a Muscle. A far eco al titolo scelto da Rainer sopraggiunge André Lepecki – tra i principali studiosi della trasmissione del patrimonio coreico – che, in un celebre saggio, suggerisce l’idea del «corpo come archivio». E ripercorrendo la travagliata vicenda dell’eredità artistica di Martha Graham non si può che dargli ragione.

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