
Realtà virtuale, una proposta sempre più concreta: nasce a Bologna il primo centro VR | Intervista a Simone Salomoni, tra i soci fondatori
di Giulia Caccialanza
Novembre 2019 è stato un periodo di traguardi per quanto riguarda le iniziative dedicate alla realtà virtuale: a inizio mese infatti si è svolto a Roma il primo festival in Italia dedicato interamente all’argomento, il VRE Fest: Virtual Reality Experience; qualche settimana dopo è nato a Bologna il Vrums, un centro di 280 metri quadrati con all’interno 10 postazioni per la realtà virtuale, 2 pedane VR, 2 simulatori di guida, un’arena multiplayer e 6 postazioni per il cinema, offrendo all’utenza più di 100 giochi, oltre 50 esperienze educative e circa 50 film, presi anche dal Festival del Cinema di Venezia.
Vrums si impone da subito come un unicum in Italia: non si tratta solo di un centro volto all’intrattenimento e alla distribuzione, ma si presenta anche e soprattutto come polo di divulgazione e studio, grazie principalmente alla stretta collaborazione con Vitruvio Virtual Museum, un progetto collettivo che dal 2013 si occupa di progettazione e realizzazione di esperienze, film e installazioni artistiche in realtà virtuale e aumentata, frutto del lavoro interdisciplinare di un gruppo di ricercatori e professionisti nell’ambito di tecnologia, comunicazione e arte.
Simone Salomoni, uno dei soci fondatori, ci parla di entrambi i progetti:
Vrums e Vitruvio Virtual Museum sono due realtà parallele e tuttavia, inscindibili: se il secondo si identifica principalmente come polo di ideazione e progettazione di contenuti per discipline anche molto diverse tra loro, come scienza, medicina, astronomia, arte, Vrums si presenta come sala di fruizione e divulgazione, a stretto contatto con chi poi della realtà virtuale ne usufruisce, appassionati di videogames ma non solo. La sala infatti offre la possibilità alle aziende di fruire di attività di team building e, grazie al contributo di formatori professionisti, coach e psicologi, sarà possibile richiedere una specifica progettazione ad hoc. Un occhio privilegiato anche alla dimensione educativa: nella sezione edutainment sono presenti esperienze che coinvolgono direttamente studenti e insegnanti, attraverso attività specificamente pensate a diretto contatto con il corpo docente, ponendosi come centro di ricerca e sperimentazione.
Cosa rappresenta per il vostro gruppo la realtà virtuale? Come siete arrivati a sviluppare e concepire questi progetti?
Il nostro team nasce come gruppo di lavoro per la progettazione architettonica, un campo che abbiamo da sempre indagato. Uno dei nostri primi progetti è stata la ricostruzione in 3D con sistema di navigazione real time di Casa Malaparte, realizzato senza mai averla vista e basandoci solo sulla letteratura e iconografia esistente. Il risultato è stato straordinario: volevamo qualcosa che fosse conosciuto affinché potesse essere giudicato e criticato, cercavamo un riscontro da parte chi l’aveva vista in prima persona. Il nostro intento era far vedere che con la realtà virtuale si possono visitare luoghi e situazioni che altrimenti non sarebbero visitabili, come Roma antica o Atlandide. In questo senso, la realtà virtuale proietta l’utente in qualsiasi luogo, permettendogli di vivere avventure ed esperienze in prima persona, abbattendo le barriere geografiche e immergendolo totalmente in un nuovo mondo, spazio o tempo. Senza contare le discipline che è possibile coinvolgere in questo processo: non si tratta solo di unire arte e tecnologia, i campi di applicazione arrivano anche alla divulgazione scientifica e alle neuroscienze. Attraverso la collaborazione con equipe di psicologi è possibile sviluppare esperienze mirate a fini terapeutici, contribuendo ad arginare disturbi di ansia, psicosi e altro. Attualmente stiamo avviando uno studio con la pediatria Sant’Orsola di Bologna per curare l’obesità infantile e anche in questo caso ci faremo mani per la scienza: quello che miriamo ad offrire è una competenza pratica e artigianale per gli studiosi. Per noi è importante che quello che facciamo abbia un senso.
Quali sono i limiti della VR nel nostro Paese?
In Italia il problema è sia di produzione che di distribuzione e noi cerchiamo di lavorare su entrambi i fronti. Saremo una delle sedi del festival internazionale di videodanza a Bologna e per l’occasione forniremo le apparecchiature, occupandoci della parte distributiva e tenendo la sala giochi chiusa, rinunciando così al nostro modello di business. Inoltre dal 24 al 26 gennaio per Artefiera Bologna ospiteremo una grande mostra a cura di Eleonora Frattarolo contenente le migliori installazioni artistiche da noi prodotte con Vitruvio Virtual Museum.
Al Festival di Venezia dal 2017 esiste la sezione cinema-VR. È possibile definire l’esperienza in realtà virtuale “cinema” (in quanto tentativo di “rimediazione” del medium cinematografico)?
Io credo che definire la realtà virtuale come un modo di proseguire il cinema sia un po’ come definire il cinema come la continuazione del teatro: è un’altra grammatica. Forse arriverà proprio ad avere un altro alfabeto: secondo me è soprattutto nel ruolo dell’utenza che cambia la questione. A questo proposito, perché l’esperienza si configuri come un continuum del cinema è necessario trovare un ruolo allo spettatore, che in molti casi appunto non diventa spettatore passivo rispetto a ciò che vede, ma diventa attivo e quindi player. Io ancora faccio fatica ad immaginare qual è il ruolo del nuovo spettatore, se così vogliamo chiamarlo per ricollegarci all’esperienza filmica. Per quello che ho potuto vedere si cerca di “scimmiottare” il cinema, ma lo scarto è enorme e proprio quando capiremo come utilizzare questa grammatica, che possiamo intuire ma che è ancora troppo ancorata a quello che conosciamo, ci sarà il vero salto di qualità.
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