
Un canto di denuncia: “Binnu Blues”
Tenutosi in aula del ‘400 dell’Università su organizzazione dell’Osservatorio Antimafie di Pavia (con la collaborazione del Coordinamento per il Diritto allo Studio UDU, Radio Aut e il Presidio di Libera Pavia), Binnu Blues, spettacolo tratto ed ispirato dal libro Il Codice Provenzano di Salvo Palazzolo, giornalista de “La Repubblica”, e Michele Prestipino, magistrato che arrestò il boss mafioso, ha come voce narrante quella di Vincenzo Pirrotta con l’accompagnamento musicale del chitarrista Charlie Di Vita. Un connubio interessante, il loro, che cambia ritmo continuamente a seconda dell’intensità dell’episodio narrato: la storia della vita di Bernardo Provenzano assume così toni sempre diversi.
Il racconto della vicenda parte da un momento cruciale della storia di Cosa nostra: il 10 dicembre 1969 Bernardo Provenzano ed altri uomini, provenienti da alcune famiglie mafiose della zona, fecero irruzione nel covo di Michele Cavataio, detto il cobra, boss della famiglia dell’Acquasanta. Una notte, che da quel momento fu ricordata come la strage di Palermo, in cui vennero uccise cinque persone e ferite altre due. In questa occasione Bernardo Provenzano si guadagnò il soprannome che marcò tutta la sua vita: Binnu u’ Tratturi (Bernardo il Trattore).
Durante il racconto, che come una lettura scenica prende corpo attraverso la voce del suo narratore, Charlie Di Vita suona rapidamente incalzando Vincenzo Pirotta. Quest’ultimo si muove tra diverse forme di narrazione, dal canto popolare sino alla forma più performativa di cuntu, ma non sempre con risultati efficaci. Al contrario, l’utilizzo di una lingua dialettale aiuta perfettamente ad esplicare il legame profondo alla terra, avvertita come luogo sia sacro che profanato irrimediabilmente allo stesso tempo.
La vita del boss di Corleone è fatta di complotti, imbrogli e frodi che non risparmiano nessuno: si scoprono nelle testimonianze e nelle parole degli investigatori, nei pizzini trovati nel suo rifugio.
Da questo luogo partivano le comunicazioni volte a sottomettere un paese intero e che , svelate, hanno rivelato i legami sporchi con le istituzioni e con la politica stessa, macchiatasi di corruzione per anni. Proprio a questo proposito Pirotta legge direttamente dai pizzini scoperti dalla polizia, in cui le conversazioni tra Provenzano ed i suoi picciotti descrivono cifre ingenti, pari ai guadagni delle più imponenti multinazionali odierne. La forza delle testimonianze dirette, mai parafrasate né ingentilite, mettono lo spettatore di fronte ad una realtà aberrante: nessuno è esente da colpe. Le apparenti vittorie nello scontro contro la mafia in realtà sono solamente piccole sconfitte di un sistema ben più grande e che necessita di essere estirpato con forza e determinazione. Per questa ragione Vincenzo Pirotta, anche quando le note del suo collega Charlie di Vita giungono al termine e lo spettacolo pare concludersi, in realtà non lascia il palco. Ciò che fa è prendersi tempo per riflettere, insieme al suo pubblico, sulle atrocità di un sistema criminale come quello mafioso, che contamina e corrompe ogni aspetto del reale.
La sua capacità di porre interrogativi cruciali come questi si ricollega perfettamente a ciò che l’Osservatorio Antimafie di Pavia si è posto come obiettivo di discussione di quest’anno: la lotta alla mafia internazionale, ponendo il focus su differenti nazioni. L’Italia, che sicuramente ha una tradizione mafiosa di tipo storico, è solamente una delle molte realtà in cui la mafia agisce. Mentre le domande di Vincenzo Pirotta sollevano dubbi e mettono in mostra i meccanismi malati, il senso del suo Blues acquisisce la forma definitiva. Il Blues, che è nato per dare voce agli schiavi neri nelle piantagioni di cotone, qui ha un principio animato da altrettanta rabbia: smuovere le masse, parlare di un sentimento di rivolta, farsi sentire con potenza.
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