
Il corpo trafitto di Pasolini al Teatro Sociale di Alba
Pier Paolo Pasolini (5 marzo 1922 – 2 novembre 1975) è il primo dei tre grandi pensatori con cui si è aperto il ciclo di incontri al Teatro Sociale Giovanni Busca di Alba. La regia di Alessandra Morra è accompagnata dalla collaborazione con INPOETICA (Festival Trasversale delle Arti) e la Wall of Sound Gallery and Editions che hanno mirabilmente contribuito a creare questa serie di eventi dal carattere forte e con un focus particolare: il corpo. Nello spettacolo di lunedì 28 Ottobre si è parlato di corpo trafitto, chiaramente quello di Pier Paolo Pasolini, violato e violentato. Il secondo appuntamento, il 20 novembre, tratterà invece il corpo negato di Cesare Pavese; infine il terzo ed ultimo incontro sarà incentrato sul corpo ostentato di Carmelo Bene, nel suo protagonismo imbarocchito e fortemente evidenziato. Si crea così un parallelismo composto da trafitto, negato e ostentato: il corpo come canale attraverso cui questi tre grandi pensatori vengono raccontati e portati in scena tramite l’arte del fare, come la definirebbe Carmelo Bene.
La serata dedicata a Pier Paolo Pasolini, condotta da un’appassionata e attenta Alessandra Morra, è una presentazione corale che si muove tra le letture di Francesco Siciliano e Erika Urban e l’accompagnamento musicale di Nicolò Pallanch (fagotto) Serghey Galaktionov (I° violino) Ekaterina Gulygina (II° violino) Enrico Carraro (viola) Amedeo Cicchese (violoncello) e Michele Lipani (contrabbasso).
La forte partecipazione volta a raccontare un pensatore della portata di Pasolini non sorprende, ma ciò che di questo spettacolo riesce davvero a stupire è la capacità di condensare in un’ora una narrazione intensa ed un pathos incredibili.
“Nascono pochi poeti in un secolo”
Così pronunciava Alberto Moravia nel giorno del funerale di Pasolini (5 novembre 1975). Con la stessa frase, Alessandra Morra apre una lunga riflessione che parte dall’assenza: da ciò che Pier Paolo ha lasciato dopo la sua morte. Lei come molti che hanno vissuto, amato, studiato Pasolini si riferisce all’autore chiamandolo per nome, quasi come se parlasse di un vecchio amico. In pochi minuti avviene un cambiamento: Pier Paolo si insinua tra ogni spettatore, è seduto accanto ad ogni occhio vigile che guarda direttamente il palco. Il suo corpo, assente e martoriato, tramite ciò che viene raccontato evapora completamente e non è più rilevante per la sua opera, anzi, è leggero quasi come un personaggio di Aldo Palazzeschi, un uomo di fumo che si leva oltre ogni confine corporeo ed umano.
L’orchestrale interviene nella narrazione accompagnando la proiezione di alcune scene tratte dai film Accattone, Mamma Roma e Il vangelo secondo Matteo. La scelta degli spezzoni da mostrare è studiata: il focus è sul “corpo colpito”, che implode in un sistema più ampio (basti pensare a quello di Ettore Garofalo tra le mura di Roma) e che funge da snodo cruciale per tutto il processo narrativo. Così la delicatezza degli strumenti si contrappone alle scene proiettate e tenta di mostrare entrambi i volti del registra-autore Pasolini. La sua dolcezza femminea, come soleva definirla Oriana Fallaci, e le sue ombre: l’eterno dissidio tra vita e morte che ha accompagnato il grande pensatore bolognese per tutta la sua vita.
“Ma allora tu rispondi alla seguente domanda: se la non-violenza è un’arma per la conquista del potere, non è violenza anch’essa? E tra la tentazione della violenza e la tentazione del potere non è molto peggiore la seconda?”
Quando Erika Urban legge questa frase, contenuta nell’intensa Lettera a Gingsberg scritta il 18 Ottobre 1967 e parte della raccolta Pasolini. Bestemmia di Guido Harari, la potenza del dualismo pasoliniano appare di nuovo evidente. Un uomo che è andato ben oltre la classica definizione con cui si suole ricordarlo, ovvero quella di cattolico, marxista e omosessuale. Pasolini è stato l’uomo degli interrogativi, dell’impegno artistico dirompente e proprio in questo senso si è mossa la sua invettiva ad autori come Pavese, accusato di appoggiarsi troppo all’ideale di una Resistenza sfumata.
Tutte le voci presenti sul palco evocano la presenza di Pasolini, e in particolare quella di Francesco Siciliano leggendo alcune pagine di Campo de’ Fiori, la scena diviene un vero luogo di riflessione. Un luogo di ri-scoperta di un uomo che ha cambiato il volto di un’epoca e che continua a farlo, dopo quasi quarantacinque anni dal ritrovamento del suo corpo trafitto al Lido di Ostia.
La voce di Pier Paolo nella bellissima cornice del teatro antico di Alba è stata rappresentata forte, ricca: una voce che Alessandra Morra e tutti i suoi collaboratori sono riusciti a tradurre in Urlo, per tornare a Gingsberg:
“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude, isteriche…”
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