
Dario Fo: il Sommo Giullare tra vita, Nobel e attivismo politico
“Perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”
Con questa frase il 9 ottobre 1997 è stato conferito il premio Nobel per la letteratura a Dario Fo, una delle figure più eclettiche del teatro italiano del Novecento. Formatosi come pittore all’Accademia delle Belle Arti di Brera, il suo teatro è conosciuto per essere sempre stato un atto totale: una compenetrazione tra scena, costume e prossemica che tenta costantemente di sfondare non solamente la quarta parete, ma l’intera cornice dello spettacolo. Al centro delle sue rappresentazioni c’è sempre stato il dialogo con un pubblico attivo che Dario Fo voleva impegnato e critico, esattamente come il suo lavoro si è sempre premurato di essere. Le forme che ha assunto, infatti, sono andate oltre la rappresentazione teatrale nel senso più tradizionale, assumendo connotazioni continuamente differenti.
Nato nel 1926 a Sangiano, sul Lago Maggiore, eredita dal padre una coscienza di Resistenza piuttosto marcata insieme ad una consapevolezza e lotta al nazi-fascismo che condividerà con la sua compagna di vita Franca Rame, figlia di una famiglia di burattinai. Da questo sodalizio nasce la loro idea di teatro, popolare e impegnato allo stesso tempo, che arriva ad operare nei luoghi più disparati: scende in strada, occupa le università, s’inserisce nelle fabbriche dismesse.

Perciò il loro legame col passato si evolve; da quel teatro popolare e famigliare, fatto per essere compreso da poche persone semplici, approdano ad un teatro per il popolo, a servizio della comunità. Tramite la satira Dario Fo riesce a narrare e denunciare i temi politicamente più rivelanti di quegli anni, appropriandosi delle caratteristiche peculiari della Commedia dell’Arte e dei giullari. Nelle sue commedie degli anni sessanta e settanta, infatti, già si possono intravedere particolari definiti e definitivi che saranno comuni a tutta la sua attività. Primo fra tutti, Fo lavora con il corpo, che fosse in scena solo o accompagnato, ed insieme ad esso è in grado di evocare oggetti e dar loro significati molteplici. Fondamentali sono anche le modulazioni della voce, i movimenti del viso, la gestualità onnipresente; la scena viene spesso lasciata libera in modo da consentire pieno spazio al corpo di muoversi dentro ad essa senza ostacoli, sfruttando appieno l’interezza dello spazio. L’esempio più iconico, che maggiormente rappresenta la somma di queste connotazioni precise, è sicuramente Mistero Buffo: un’opera teatrale (definita anche giullarata popolare) presentata per la prima volta nel 1969. Si tratta di un insieme di monologhi di carattere biblico che sottolineano l’importanza della cultura popolare, considerata da Fo la vera madre della storia del teatro. Qui l’artista approda al massimo utilizzo dello strumento-corpo, cruciale alla sua resa buffonesca, accompagnato da un’attenta selezione dei costumi di scena che divengono parte integrante dell’intero processo fabulatorio dell’attore.

Come si può chiaramente supporre il successo di Dario Fo è riuscito ad approdare anche al cinema e, soprattutto, in televisione. Nel 1962 la Rai, nata da poco meno di vent’anni, affida all’artista ed a sua moglie Franca Rame, la conduzione di Canzonissima, uno dei programmi più seguiti dell’epoca. Il loro agire teatrale, che si caricava di denunce politiche e vicinanza agli sconfitti ed agli oppressi, venne portato anche in questo contesto: il risultato non solo fu esplosivo, ma efficace. L’importanza di far riflettere un pubblico composto da quindici milioni di persone era avvertita allora più che mai; l’Italia degli anni sessanta era stordita da un boom economico che trascurava l’importanza della lotta alle mafie o degli incidenti sul lavoro. Così la coppia Fo-Rame si distinse anche per questo, portando sotto i riflettori la potenza della loro opera.
Negli stessi anni vede la luce Morte accidentale di un anarchico, rappresentazione in cui si narrano le misteriose circostanze in cui è morto Giuseppe Pinelli, caduto dalla finestra del quarto piano della caserma di Milano, mentre il suo interrogatorio era in corso. Questo lavoro costò ai coniugi Fo più di quaranta processi in tutta Italia, proprio a causa (o grazie) alla sua forza e attivismo politico, che non nascondeva anche un capo d’accusa piuttosto chiaro.

Per tutta la vita Dario Fo si è distinto per la sua poliedricità, riuscendo a concepire un modo di fare teatro che ha segnato gran parte del Novecento e della nostra contemporaneità. La vittoria del Nobel per la letteratura non fu mai un punto d’arrivo per l’artista; al contrario, egli la considerava una vincita che riguardava più il teatro in senso globale che lui direttamente.
“Con me hanno voluto premiare la gente di Teatro”
Eppure, Dario Fo è stato uno dei più grandi teatranti del novecento. È riuscito a rivoluzionare la scena tramite la semplicità del gesto e dell’azione, facendosi carico di una serie di valori etici e morali che hanno contribuito a formare un’intera generazione. Il teatro, e con esso l’azione teatrale, fa sempre memoria di qualcosa: ri-attualizza le storie di un passato antico, remoto. È anche per questo che Dario Fo riuscì a guadagnarsi in quegli anni il titolo di Sommo Giullare: il suo teatro è un gesto sacro nella sua forma più pura, una atto che riporta l’esperienza del rito nella sua massima pienezza. Recupera e modella gli spazi, rilegge i miti, racconta una storia.
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