
Anche il Diavolo stanca: sulla quarta stagione di “Lucifer”
Scongiurata la cancellazione, per l’interessamento degli appassionati e per le loro petizioni, Lucifer ritorna con una quarta stagione. Ritorno che è anche un esordio. Dopo essere stata trasmessa su Fox, la serie è stata pubblicata sulla piattaforma Netflix l’8 maggio 2019, accolta da discordanti pareri. Tra il plauso fin troppo entusiasta dei fan e il giudizio più intransigente di altri, le avventure del Diavolo a Los Angeles continuano.
Il terrorizzato sguardo di Chloe aveva chiuso la terza stagione con uno scontato colpo di scena. Resasi conto che Lucifer non le aveva mai mentito sulla sua identità, superato il trauma con un viaggio a Roma, ritorna e riprende le sue indagini nella polizia, affiancata dalla sua consulenza infernale.

La banale evoluzione psicologica del suo rapporto con Lucifer – allontanamento, riavvicinamento, nuova separazione – sarebbe anche accettabile, se solo l’attrice (Lauren German) riuscisse ad adeguare la propria mimica ai diversi stati d’animo. Cosa che non avviene: la sua rigidità è anzi amplificata dai primi piani che vorrebbero mettere in mostra ora il suo stupore, ora la sua preoccupazione, ma che hanno l’effetto di presentare sempre il solito rigido volto serioso. In una serie che presenta un’abbondanza di personaggi femminili, protagonisti comprimari e non, Chloe è il frutto più acerbo. La prevedibilità è anche un tratto di Mazikeen (interpretata da Lesley-Ann Brandt), tuttavia riuscita e piacevole, in quanto inserita in un felice trio comico (Maze, Linda, Amenadiel) in cui le capacità attoriali dei suoi componenti si corrispondono e si completano armonicamente. Dal canto suo, Linda (Rachael Harris) è il personaggio femminile più felice di questa stagione, la cui eccentrica gravidanza – aspetta un bambino dall’angelo Amenadiel – si rivelerà uno dei punti di snodo più importanti. Inoltre, il suo ruolo di psicoterapeuta la rende un efficace strumento per scavare a fondo nell’animo dei vari personaggi che chiederanno consulenza a lei, generando talvolta un meccanismo che, però, potrebbe iniziare ad annoiare lo spettatore. Impossibile dimenticarsi di Eva (Inbar Lavi), la new entry. La ventata di comicità che sembrava preannunciare il suo arrivo – lei, la prima donna sedotta da Lucifer – si spegne rapidamente e finisce per essere una noiosa macchietta che decora la scena con il suo facile erotismo e la sua vendetta senza scopo, specialmente quando invoca i demoni in soccorso del loro signore.

Una virata più audace sembrava voler sopraggiungere con questa nuova stagione e questo cambio di emittente. La riduzione a dieci episodi contro i ventisei della terza stagione, permette un ridimensionamento del campo di lavoro, un restringimento dei tempi narrativi che evita inutili sbavature. I fatti si avvicendano in maniera più asciutta, forse anche più elementare, ma senza che l’attenzione dello spettatore cali.
I toni più cupi e più osé, costantemente accarezzati dalla sceneggiatura, vengono sempre evocati ma mai portati sulla scena. È questo l’elemento chiave nella costruzione comico-drammatica della serie: evocare e non mostrare. Curioso forse che sia proprio la sceneggiatura di Tom Kapinos a intraprendere questa scelta, lui che è stato autore della ben più irriverente Californication.
Impoverita sembra invece la mescidanza che aveva costituito uno dei punti di novità all’inizio della serie. Mescolare elementi biblici a tratti del genere poliziesco era stato senza dubbio un punto di forza. Peccato che, con il procedere delle stagioni, l’elemento poliziesco abbia perso il suo fascino, divenendo l’indagine solo un momento di autoriflessione per Lucifer.
La punta di diamante si rivela ancora Tom Ellis: il personaggio di Lucifero in mano sua riesce ad avere quella commistione equilibrata tra il “luciferino” agire che ci si aspetta dal re dei demoni, e la sua sorprendete bontà. È chiaro che tanta attenzione sia dedicata a questo personaggio poiché è nel comportamento del Diavolo che si concretizzano i temi portanti, dallo scontro padri-figli, al bisogno di imparare a perdonarsi e ad amarsi. Inoltre, il suo inconfondibile accento inglese contribuisce a dare una marcia in più ad un attore che da solo sostiene e garantisce il pregevole lavoro che sta dietro la serie.

Se ancora possiamo dir bene di Lucifer, nonostante un generale arrugginirsi di certe dinamiche nella costruzione del racconto e delle scene, felicissima appare la scelta di un rinnovo per una conclusiva quinta stagione; salvo generali trovate, una genuina vena creativa sembra essersi esaurita e, a meno che non si voglia scadere nel ripetitivo e nel banale, bisogna, talvolta, saper dire basta.
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