
Immagini dal passato: una panoramica su Sharp Objects
“Piccola, 2000 abitanti al massimo, l’attività principale è la macellazione dei suini, ragion per cui o hai soldi di famiglia o sei un pezzente”, con queste parole Camille Preaker, interpretata dalla bravissima Amy Adams, ci presenta la sua città natale. Una comunità chiusa, diffidente, che offre a chi viene da fuori una “stucchevole ostilità passiva”, che nasconde un‘incredibile dose di violenza, razzismo e misoginia dietro ad una perfetta maschera di decoro e normalità, dove omertà e segreti vengono celati dietro sorrisi smaglianti e buone maniere. Benvenuti a Wind Gap, Missouri. In questa assolata cittadina si svolge Sharp Objects, mini-serie thriller targata HBO, composta da 8 episodi e distribuita in Italia da Sky Atlantic a partire dal 17 settembre.
Sharp Objects racconta il ritorno a casa di Camille, reporter investigativa dal passato turbolento e con problemi di alcolismo, costretta a rientrare a Wind Gap per seguire l’indagine relativa all’efferato omicidio di due ragazzine del luogo. La serie tuttavia non si esaurisce nella detective story, ma al contrario indaga in modo approfondito la parabola psicologica della sua protagonista, scelta come punto di vista privilegiato. Camille dovrà confrontarsi con i fantasmi del proprio passato, in parte dimenticati dopo il suo trasferimento a St. Louis ma mai del tutto sopiti, in particolare con il trauma della morte della sorella minore, Marian. Anche il tentativo di riallacciare il rapporto con Adora, madre di ghiaccio splendidamente interpretata da Patricia Clarkson, si rivelerà incredibilmente doloroso e difficile.
Il cast è quasi tutto al femminile, le figure maschili sono presenti ma appaiono marginali e la loro azione non decisiva ai fini narrativi. Il vero fulcro tematico di Sharp Objects è infatti “il modo in cui si esprimono la violenza e l’odio femminile quando vengono repressi o ignorati” come ha dichiarato la scrittrice Gillian Flynn, autrice del romanzo Sulla pelle da cui è stata tratta la mini-serie. Per dirigere la serie è stato chiamato Jean-Marc Vallée, candidato agli Oscar con il film Dallas Buyers Club e già distintosi per la regia di un’altra serie thriller, Big Little Lies, in cui aveva dimostrato una grande capacità di raccontare la psicologia femminile in maniera onesta e non edulcorata. E sono proprio la regia e il montaggio di Jean-Marc Vallée a costituire uno degli aspetti di maggior pregio della serie e a conferirle un taglio del tutto inedito rispetto al genere d’appartenenza.
Da un punto di vista visivo vi sono alcune immagini che ricorrono ossessivamente e che impongono la loro presenza già a partire dai titoli di testa: il giradischi, i ventilatori, le lunghe strade vuote percorse da Camille in macchina o dalle giovani ragazze sui roller, la foresta. Questi sono gli elementi o i luoghi su cui maggiormente insiste la macchina da presa di Vallée e che concorrono a creare l’inquietante atmosfera di Wind Gap, cittadina che sembra sospesa nel tempo, assopita in un presente sempre uguale a se stesso (le ragazze di Wind Gap ad esempio si muovono perennemente sui roller, sia nei flashback legati all’adolescenza di Camille sia nel presente), ma che dietro l’apparente tranquillità nasconde segreti oscuri e intricati quanto la foresta che la delimita. La sigla di Sharp Objects prende avvio proprio al click di un giradischi che riproduce la canzone Dance and Angela, di cui si sentono 8 varianti differenti, ciascuna per ogni puntata della serie. Il giradischi ritorna più volte, azionato dal passivo e impotente patrigno di Camille (Henry Czerny), che si rifugia nella musica per sfuggire le inquietanti dinamiche familiari. Richiamato dal movimento circolare del giradischi, il ventilatore è l’elemento forse più insistentemente sottolineato; sempre presente anche solo sullo sfondo, ci fa letteralmente percepire l’atmosfera soffocante e claustrofobica che imprigiona gli abitanti di Wind Gap.
Accanto alla componente estetico-visiva, anche il montaggio appare estremamente interessante. Jean-Marc Vallée ha scelto di adottare il punto di vista di Camille, seguendo il percorso emotivo e psicologico della protagonista da più vicino possibile, “pedinandola” con la macchina da presa, mettendola a nudo davanti allo spettatore attraverso i suoi ricordi, frammentati e confusi, che ci vengono mostrati così come affiorano nella sua mente per libere associazioni. Al presente di Camille si mescolano quindi diversi tempi passati, flashback legati a piani temporali diversi, che si sovrappongono velocemente uno all’altro e che non risultano mai del tutto esaustivi da un punto di vista narrativo. Il montaggio appare così rapsodico e a tratti quasi allucinato, con un ritmo serrato, che ben contrasta con l’andamento della vicenda thriller la cui narrazione è invece estremamente dilatata. L‘indagine sui delitti procede infatti lentamente, con pochi momenti di alta-tensione, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare. Il risultato è un thriller volutamente lento, la cui visione può apparire quasi frustrante per lo spettatore, che scalpita per chiarire i numerosi misteri, cercando di districarsi tra i molti flashback, sempre ambigui e irrisolti. Una nota di biasimo merita proprio la tanto attesa risoluzione finale che, affidata agli ultimi 10 minuti della serie e addirittura parzialmente nascosta tra i titoli di coda, appare eccessivamente affrettata e non riesce a soddisfare appieno le aspettative di chi guarda.
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