
Il presepe mediterraneo di Mario Martone: “Capri-Revolution”
Con il suo nuovo film Capri-Revolution, Mario Martone continua a muoversi a piccoli balzi in quel periodo della Storia d’Italia, racchiuso tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, che sembra essergli più congeniale. Dopo aver narrato il Risorgimento italiano con Noi credevamo (2010) e la travagliata vita di Giacomo Leopardi ne Il giovane favoloso (2014), per il suo ultimo lavoro il regista resta ancora in Italia e sceglie un luogo che negli anni dieci del Novecento attraversa il suo periodo storico più affascinante: l’Isola di Capri.
La protagonista è Lucia (Marianna Fontana): una giovane guardiana di capre che, a seguito della morte del padre per una grave malattia, si trova a vivere con la madre e i due fratelli in una società fortemente tradizionalista che si scontra continuamente con la sua natura ribelle. Gioca quindi a suo favore il ribollire, nella Capri del primo ‘900, di tutti i sintomi di una vera e propria rivoluzione: a partire dall’insediamento di una comune di artisti, che sotto la guida del pittore Seybu (Reinout Scholten van Aschat) praticano il naturismo e la dieta vegetariana, fino al giovane medico socialista Carlo (Antonio Folletto), rappresentante del progresso e della scienza. Si aggiungono a loro personaggi del calibro di Gor’kij (padre del realismo socialista), e molti altri, a dar vita a una vera e propria rivoluzione delle idee.
In quest’isola percorsa simbolicamente (e da poco anche fattualmente) dall’elettricità, Lucia si aggira come un’esploratrice in cerca della sua libertà: la libertà dai fratelli che la comandano, da un matrimonio combinato, da un destino che si porta in spalla sin dalla nascita e che è diventato un giogo troppo pesante da sopportare. In un tripudio di ideologie e tematiche, la figura ingenua e curiosa di Lucia gira come l’ago di una bussola impazzita cercando la sua strada.
Religione, scienza, spiritualità, guerra, ambientalismo, femminismo, la lista di argomenti che Martone inserisce nel film si allunga a dismisura e gli sfugge di mano. Troppa carne al fuoco per un film di due ore, che si limita, il più delle volte, a scalfire appena la superficie di temi così complessi, iniettando qua e là dialoghi filosofeggianti incastonati in modo maldestro in una sceneggiatura bucolica e figurativa.
Durante tutto il film, infatti, si ripete la ricerca di specifiche suggestioni figurative: una pastorella; un paesaggio erto e roccioso; una meravigliosa grotta che si affaccia sul mare; una guida spirituale dalla personalità magnetica e dai lunghi capelli castani avvolta in una tunica azzurra; sono tanti gli evidenti richiami biblici con i quali Martone si diverte a comporre davanti ai nostri occhi una sorta di presepe mediterraneo che mischia continuamente il sacro e il profano.
Ma è il rapporto dell’Uomo con la Natura incontaminata (ripresa sapientemente dal già vincitore del David di Donatello Michele D’Attanasio) il vero punto di forza del film: unico tema che, grazie a una particolare attenzione alla fotografia e alla presenza di numerose scene contemplative, viene finalmente approfondito.
Lo scopo della comune di Seybu (direttamente ispirata a quella creata a Capri dal pittore Karl Wilhelm Diefenbach) è quello di vivere in armonia con la Natura, ispirandosi all’Induismo e traendo spunto da antichi riti pagani. Per farlo, viene attuato con la Natura stessa un continuo scambio, nel tentativo di ripagare la bellezza ricevuta con altra bellezza. L’Arte diventa quindi il loro strumento fondamentale, la musica e la danza riempiono i giorni (e le notti) di questi personaggi che sembrano sempre appena usciti da un dipinto: su tutti, La danza di Matisse, dove i corpi nudi dei personaggi si susseguono in un girotondo saturo dei colori del Mediterraneo.
Se l’apparato fotografico e simbolico “regge”, la sceneggiatura e le interpretazioni convincono solo in parte: alcuni personaggi (come lo psicoterapista tedesco Herbert, la compagna di Seybu, o la fragile Lilian) sembrano attaccati alla trama in modo posticcio, non vengono adeguatamente approfonditi ma restano in una sorta di limbo dando origine a filoni narrativi paralleli che si sviluppano in modo incompleto e confuso. Affonda sotto il peso di alcune mancanze interpretative anche la figura del giovane Carlo, contrapposizione razionale alla effimera spiritualità di Seybu, che avrebbe potuto assumere maggiore rilevanza ma manca di autorevolezza e prende spesso i tratti di un personaggio secondario.
Degna di nota, invece, l’interpretazione di Marianna Fontana, che, nonostante alcune dissonanze dovute all’intreccio (come il passaggio nel giro di un brevissimo lasso di tempo da pastorella analfabeta a poliglotta esponente snob dell’avant-garde), dà vita a una figura femminile appassionata e convincente: vero e proprio spirito libero e ribelle che nemmeno l’energia rivoluzionaria di Capri può saziare. È con il viaggio di Lucia verso l’America che si conclude il film: insieme a centinaia di altri italiani la ragazza si imbarca verso il Nuovo Mondo, alla ricerca di un’avventura ancora più grande e più estrema della precedente, a dimostrazione che la vera Rivoluzione non arriva dall’esterno ma è già presente in ognuno di noi.
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