
31° Castellinaria, l’intervista al direttore di MyMovies
Alle porte della fredda stagione invernale, si vive un periodo di intenso fermento culturale nella bassa Svizzera. Ai piedi di Via Murate, la “via dei castelli” di Bellinzona, presso l’Espocentro, ha luogo la trentunesima edizione di “Castellinaria – Festival internazionale del cinema giovane di Bellinzona” (dal 17 al 24 di novembre), appuntamento immancabile per i giovanissimi amanti del Cinema, ai quali il festival si rivolge direttamente.
Attraverso le storie di conflitti intergenerazionali si cerca di approfondire le dinamiche dei rapporti tra ragazzi e tra i più piccoli e gli adulti. Una settimana di eventi in cui il programma delle singole giornate viene diviso in più fasce orarie, basate sul pubblico di riferimento. La mattina e il primo pomeriggio sono dedicati a visioni pensate per bambini con un’età compresa tra i 6 e i 15 anni, nel tardo pomeriggio e prima serata il pubblico di riferimento è composto da adolescenti, ma anche da adulti.
Tra i film più interessanti della manifestazione abbiamo Quando arriva mamma?, di Stefano Ferrari, prodotto dalla RSI (Radiotelevisione svizzera italiana). Documentario che riflette sulle difficoltà in cui si imbatte chi è il protagonista di migrazioni complesse, attraverso la vera storia di Ahmad, un bambino costretto sulla sedia a rotelle, in quanto nato con la spina bifida, e della sua famiglia fuggita dalla Siria. La sofferenza maggiore sarà nel dover aspettare per molto tempo la madre, dovutasi separare dal resto della famiglia in Iraq.
Girl, di Lukas Dhont, prodotto dalla Menuet. Un’opera molto densa, ma delicata – di spicco tra le proposte per le borse della Cinéfondation di Cannes (che ne ha infatti permesso la realizzazione) –, che ci introduce nella vita di Lara. Lara coltiva il sogno della Danza, ma contemporaneamente tenta la difficile strada del passaggio di genere, essendo nata uomo. Opera che bene introduce i giovani fruitori del festival alle complesse questione sul genere e sull’attrazione sessuale, attraverso il talento per il racconto del giovane esordiente Dhont.
Molto ricca anche la Sezione “Castellincorto”, vetrina per dieci corti provenienti da dieci scuole di Cinema sparse nel Mondo. Tra i lavori più interessanti citiamo Accord parental, di Benjamin Belloir (Belgio), prodotto da L’atelier de realistaion de l’INSAS, Kinim, di Daniel Wiesmen (Israele), prodotto dalla Jerusalem Sam Spiegel Film School, Cena d’aragoste, di Gregorio Franchetti (Italia/USA), prodotto da Gatto film Srl e dalla Columbia University, Grand Hotel, di Giulio Pettenò (Svizzera), prodotto dal Conservatorio internazionale di Scienze audio-visive di Locarno.
Su queste e altre questioni abbiamo avuto il piacere di poterci confrontare con Giancarlo Zappoli, direttore di MyMovies e direttore artistico del Castellinaria.
Le vostre sezioni sono rivolte a ragazzi molto giovani e bambini. Qual è la cosa più interessante del confronto con un pubblico di queste età? Ci sono rischi nella scelta di temi impegnativi per ragazzi molto giovani e bambini?
Proprio perché non abbiamo un pubblico, ma “i pubblici”, in questo festival (elementari, preadolescenti delle medie, giovani delle superiori e il pubblico serale) è necessario fare delle distinzioni. Questo bisogno ci impone, già in sede di comitato artistico (dove sono presenti insegnanti delle medie, insegnanti delle superiori e il cinefilo puro), di arrivare a un’unica visione, ma derivata da più punti di vista, con la presa di responsabilità del direttore artistico. Il nostro scopo è quello di toccare temi anche importanti, cercando di stare all’altezza di ciò di cui si parla. La chiave è il dosaggio: facciamo in modo che il tema ci sia, ma che il film non sia scelto su misura di questo. Il tema viene fuori dopo, film per film, pensando a una proposta per le elementari, per le medie (con le differenze tra le età interne). Aggiungo che noi, avendo un rapporto diretto con le scuole, presentiamo i film un mese prima agli insegnanti, con le relative indicazioni, dando a loro la parola finale nella classe, sulla base della loro conoscenza con i ragazzi.
Cosa si cerca nei cortometraggi che si candidano per entrare in concorso nella vostra manifestazione?
Per i cortometraggi c’è un comitato di selezione diverso dall’altro, formato interamente da giovani. Nelle serate dedicate ai cortometraggi cambia il pubblico: vediamo arrivare gente mai presente le altre sere. Un pubblico che viene apposta per i cortometraggi. Fino ad alcuni anni fa il tema della sezione era lo stesso, cortometraggi che parlino di bambini e giovani. Ad un certo punto abbiamo deciso di offrire la possibilità ai giovani di farlo: quindi sono tutti corti di diploma, di esordienti al mondo del mercato, i quali poi possono anche parlare di “Matusalemme”, ma va bene perché il giovane è il soggetto della realizzazione. E per questa sezione è previsto un premio del pubblico e il premio di una giuria di professionisti, unico caso perché per le altre sezioni la giuria è esclusivamente formata da ragazzi.
Il festival lavora molto nell’approfondimento della tecnologia che consente la visione in 360 gradi. Negli ultimi anni è aumentata l’attenzione che festival e industria stanno prestando a questo mezzo. Secondo lei potrà arrivare il momento della categoria migliore film in 360 gradi?
Tutte le innovazioni tecnologiche hanno una doppia fase, sin da quando dal muto si è passato al sonoro, dal bianco e nero al colore, ecc.; cinemascope, per fare un esempio: i primi film della Storia usciti in cinemascope non interessavano a nessuno, l’importante era il paesaggio, mostrare in grande. La storia poteva essere una storiella qualsiasi. Lo stesso è accaduto per tutte le evoluzioni, ivi compreso le ultime. Per cui inizialmente c’è il rischio che il piacere dell’uso della nuova tecnologia uccida il complesso dell’operazione cinematografica. Poi però, dopo pochissimo, e ormai ci siamo quasi abbondantemente arrivati, l’effetto è in funzione della narrazione. All’inizio ci ritroveremo con delle cose tipo circo Barnum, poi pian piano il circo Barnum verrà assorbito dall’uso intelligente (e non solo funzionale all’entertainment) della nuova tecnologia. Pensando a quelli che dicono: “Ah, che bello il Cinema di una volta!”; il Cinema di una volta andava bene per una volta. Poi anche noi “diventeremo Cinema di una volta”. Quindi un ciclo che si ripete con questa doppia fase: prima esaltazione e poi normalizzazione, in senso positivo del termine.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
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