
Di corpi e di trasformazioni: “Revenge”, di Coralie Fargeat
Il rape & revenge è un (sotto)genere spesso vituperato, barbaro ed elementare nelle sue scomode coordinate, che vanta però titoli e nomi illustri, a cominciare dal Bergman de La fontana della vergine (1960), per arrivare a L’angelo della vendetta (1981) di Abel Ferrara e al contestato Irréversible di Gaspar Noé (2002), e che trova verso la fine degli anni ’70 un suo manifesto nel cult Non violentate Jennifer (1978) di Meir Zarchi, di cui è stato realizzato un remake nel 2010. Declinato in vari modi e secondo sensibilità differenti – dall’action gotico-fantastico (Il Corvo, Alex Proyas, 1994) al dramma psicologico in chiave western (Cani di paglia, Sam Peckinpah, 1971), – resta comunque ancorato a uno schema essenziale: stupro, omicidio (il più delle volte solo presunto) e conseguente vendetta. È così anche per l’acclamato Revenge (2017), lungometraggio d’esordio della francese Coralie Fargeat – nelle sale dal 6 settembre –, in cui Jennifer (Matilda Lutz), giunta in una villa in mezzo al Grand Canyon in compagnia dell’amante, viene violentata da un compagno di caccia di quest’ultimo, con l’aiuto di un secondo cacciatore. I tre uomini, per evitare che la ragazza li denunci, decidono di sbarazzarsene, ma Jennifer sopravvive e inizia così un’orgia di sangue.
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L’articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2018 sul sito http://inchiostro.unipv.it/
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