
Deadpool 2: meta-recensione
Deadpool 2 non è un film d’azione: certo la regia chirurgica di David Leitch (esatto, quello di John Wick) e il montaggio serrato a quattro mani di Craig Alpert e Elísabet Ronaldsdóttir sembrano dimostrare il contrario. Tra combattimenti, gag e dialoghi, si giunge alla fine del primo atto con una musicalità ben precisa in mente. Un ritmo che si alterna tra i primi piani della maschera del protagonista e lo svolgimento dinamico delle vicende, dove la carne e il sangue la fanno da padroni. C’è azione – e parecchia – ma parlare di un film d’azione equivarrebbe a dare tutto il merito al dinamismo, e non è questo il caso.
Deadpool 2 non è un film di supereroi, benché non si parli d’altro. Non c’è film della saga degli X-Men nel quale si oda la parola “supereroe”, fatta eccezione appunto per Deadpool. Il supereroe, quello più puro, che crede nei valori positivi e si batte per essi sacrificando tutto. Ma quale antieroe? Deadpool non può più permettersi di andare contro la Morale individuale positiva e ci crede talmente tanto che sacrifica per essa la morale comune. Solo per questo, Deadpool 2 è un film eroico, ma non un film di supereroi. Non sono loro i protagonisti, bensì la loro assenza. Se è vero che i superpoteri amplificano tutto, allora nel caso di Deadpool abbiamo una super-depressione, una super-inadeguatezza e un super-egoismo. Tutte caratteristiche che solo i più comuni dei personaggi, nell’ordine, lo sboccato Weasel di T.J. Miller, l’adorabilmente stereotipato Dopinder di Karan Soni, e l’acida Al di Leslie Uggams, possono sperare di contrastare con il più incredibile dei superpoteri: la concretezza.
Deadpool 2 non è un film divertente: si ride in Deadpool 2 e tanto. Ma non si tratta di risate amare, nervose o catartiche. In Deadpool 2 si ride per dare un senso, e questo è quantomeno straordinario se si considera che l’atto stesso del ridere è una reazione del nostro cervello a un paradosso altrimenti irrisolvibile. Gli scrittori, tra i quali lo stesso Reynolds, hanno elevato la risata a pensiero critico, a meccanica euristica e solvente narrativo. Certo, il tutto è reso più semplice dal Cable di Josh Brolin, serioso, cupo e monodimensionale come è giusto che sia; grazie alla sua semplice ma fondamentale interpretazione, il lavoro di scrittura risulta agevolato nel controbilanciare con la demenzialità tipica del protagonista. Ma non cadete in errore. Deadpool 2 non è un film divertente ma al massimo solo molto sensato.
Deadpool 2 non è un film corretto: “bella scoperta!” direte voi. Deadpool è l’emblema di tutto ciò che è scorretto. Ma qui parliamo di un’altra sfumatura di scorrettezza, più sottile e per questo più invasiva. Deadpool 2 non è un film corretto perché, come accennavo sopra, ribalta la gerarchia tra film e spettatore. Proprio come nella dialettica servo-padrone hegeliana, Deadpool è quel servo che ha capito benissimo le necessità dello spettatore/padrone e gliele rinfaccia ogni minuto. Nel gioco di sguardi tra noi e il protagonista, così come dalle continue citazioni e riferimenti alla cultura pop (una cultura che più di ogni altra ci appartiene), capiamo bene il nostro ruolo di spettatori/consumatori e in qualche modo ci sentiamo traditi da questo ribaltamento. Possiamo solo contemplare la bellezza di questa rivoluzione (che raggiunge il suo apice nelle scene dopo i titoli di coda) mentre il piacere, vero e proprio carburante del genere cinecomic, lascia il posto alla colpevolezza.
Per concludere, è difficile parlare di Deadpool 2 senza essere un po’ Deadpool. Possiamo valutarlo come film e opera di finzione ma faremmo solo metà del lavoro. L’impossibilità di parlare di Deadpool 2 deriva proprio da questa sua dimensione meta non mediata che si attiva nel nostro cervello non appena il protagonista comincia a parlare. Ecco, Deadpool è un virus e questo film il suo vettore. Un virus che non può vivere senza un’audience al quale aggrapparsi, ma che, una volta aggrappatasi, la modifica, la ribalta, la guida, tutto allo scopo di farsi piacere. Non si può quindi recensire Deadpool 2 se con una meta-recensione che sia, a sua volta, una riflessione sull’atto stesso di scrivere di un prodotto così unico. Ma a questo punto mi chiedo chi ci sia davvero alla tastiera, se io o Deadpool.
L’articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2018 sul sito http://inchiostro.unipv.it/
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