
Everybody wants to rule the world — Mixed by Erry di Sydney Sibilia
Per chi li ha vissuti, gli anni ‘80 hanno lasciato un’impronta inconfondibile nella memoria di tutti: i giubbotti colorati, le spalline imbottite, i Levi’s a vita alta, i walkman, le eterne battaglie mai messe in pratica tra Duran Duran e Spandau Ballet che subito definivano un nuovo tratto della personalità di chi li ascoltava. Mixed by Erry, il nuovo film di Sydney Sibilia sfrutta ogni dettaglio di quest’atmosfera e racconta una storia di ribellione e formazione tra una musicassetta e l’altra.

Ispirato a una storia vera, il film racconta la storia dei tre fratelli Frattasio (Peppe, Angelo ed Enrico, interpretati rispettivamente da Giuseppe Arena, Emanuele Palumbo e Luigi D’Oriano) e della costruzione del loro personale impero discografico basato su musicassette personalizzate, realizzate attraverso registrazioni dai 33 giri in voga all’epoca proprio da Enrico (l’Erry del titolo). Ciò che nasce da una passione che Erry cova sin da bambino si sparge in poco tempo a macchia d’olio su scala nazionale, coinvolgendo il contrabbando, la malavita e perfino i grandi dirigenti della Milano bene.
Sin dalle prime scene, i tre protagonisti entrano subito a far parte della poetica cinematografica di Sibilia, che ha già avuto modo di esprimersi attraverso l’amatissima trilogia di Smetto Quando Voglio (2014-2017) e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020). È possibile infatti raggruppare gli (anti)eroi di queste pellicole secondo le caratteristiche che li accomunano: giovani, impacciati ma ambiziosi, buttati a bomba in una società di cui non riusciranno mai a fare parte, contro la quale si ribelleranno mettendo in discussione il giudizio delle autorità e delle istituzioni, spesso e volentieri circondati da una fotografia piena di colori e luci stroboscopiche.

Esattamente come i suoi predecessori Pietro (Edoardo Leo) e Giorgio (Elio Germano), Enrico si presenta come un classico inetto: timido, umile, con una grande passione per la musica che però non riesce a esternare attraverso un mestiere convenzionale come quello del disc-jockey. Enrico è un ragazzo che convenzionalmente “se la cava”, ma che ottiene i suoi quindici minuti (che in realtà sono anni) di gloria grazie alle cassette che crea per diletto: è questo che lo rende capace di tuffarsi nel mondo senza considerarne apparentemente i rischi, questa volontà di auto-affermazione che lo porterà a scontrarsi con la dura realtà della pirateria (termine che viene coniato apposta per i fratelli Frattasio), della criminalità organizzata e della guardia di finanza.
Questi tre elementi costituiscono la base della storia e dell’identità dell’Italia degli anni ’80, un Paese che in realtà una vera identità non l’ha ancora trovata e che non è pronto ad accogliere una nuova (ennesima) generazione di “giovani” al suo interno — esattamente come lo è stato per Giorgio negli anni ‘60 e per come lo sarà per Pietro negli anni Dieci del nuovo millennio. La difficoltà che sta nell’auto-affermarsi è ciò che porta Enrico a fare quello che vuole, un po’ per il gusto del rischio e un po’ per il gusto della zingarata: nella narrazione, la regia va a braccetto con il protagonista e riesce a donare un tono di scherno a scene pesanti (come quella che vede i tre fratelli coinvolti nelle minacce contro un capo della malavita marocchina).
È per questo che si parla di antieroi? La risposta può essere ovvia ma sfaccettata. Pietro, Giorgio ed Enrico potrebbero tranquillamente rappresentare quel tipo di individuo che, a causa del proprio carattere, si lascia inghiottire da un meccanismo sociale più grande di lui, in una maniera stupendamente umana nella quale chiunque può ritrovarsi. L’unico modo che hanno per affermarsi è compiere qualcosa al limite dell’assurdo e del legale: creare una nuova droga, fondare uno Stato indipendente al di fuori delle acque territoriali o contraffare musicassette. È altrettanto ovvio che il loro principale antagonista non si rivela tanto la società, ma le più alte cariche istituzionali che hanno il dovere di mantenere la legge sotto controllo e che, spesso e volentieri in nome di una morale “giusta”, tarpano le ali a tutti coloro che peccano di individualismo. Ma cos’è il giusto? Chi è il buono e chi è il cattivo? Chi ha ragione e chi ha torto?

Il destino riservato a questi individui è quindi quello della gloria temporanea, vissuta in una spensieratezza e una leggerezza d’animo che viene trasmessa persino allo spettatore — è proprio qui che risiede il vero talento di Sibilia: chi guarda il film sa già che il Pietro, Giorgio, Enrico di turno non avrà la meglio, ma sentirà l’onore di essere stato partecipe della sua personale mandrakata. Almeno fino a quando i poteri forti — in questo caso rappresentati da Fabrizio Gifuni, nel ruolo del CEO Arturo Maria Barambani, nome di matrice quasi fantozziana — non avranno la meglio.
Mixed by Erry è un film che racconta di un Icaro che vola troppo vicino al sole tra la Napoli di Maradona e la Milano “da bere”, sullo sfondo di una società che non solo non conosce la gente da cui è composta, ma non possiede nessuna capacità di adattamento al cambiamento, di cui i giovani si fanno capogruppo. Se pure pecca di debolezza per una trama e una struttura molto simili a Smetto Quando Voglio e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, in realtà si rivela piacevole, immediato e divertente. Ancora una volta Sibilia, attraverso la somatizzazione dei problemi di una generazione, senza la loro derisione, riesce a dare al pubblico una speranza, un’iniezione di serotonina che scatena subito la voglia di vedere che cosa il regista ha in mente per i suoi prossimi progetti.
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