
Chucky – Le battaglie sociali della bambola assassina
Le aspettative che circondavano Chucky, la prima serie dedicata alla bambola assassina, erano altissime: dopo il terribile reboot del 2019 i fan chiedevano a gran voce un degno ritorno dell’eccentrico serial killer e pretendevano che le nuove storie fossero all’altezza delle precedenti. Quasi a voler riconquistare la loro fiducia, lo storico regista della saga Don Mancini ha assicurato che questa serie tv sarebbe stata non solo qualcosa di mai visto prima nella storia del personaggio ma anche «un esperimento dark» che vorrebbe fosse ricordato «come un atto di speranza contro il bullismo».
Quest’ultimo punto è particolarmente interessante perché, tra tutte le assurdità in cui abbiamo visto coinvolto il famoso bambolotto con istinti omicidi – cose come morire e rinascere svariate volte, tamponare ed uccidere Britney Spears, trovare in moglie un’altra bambola assassina, avere un figlio – c’è qualcosa che non ha mai fatto: aiutare il prossimo. Se allora le dichiarazioni di Mancini hanno fatto alzare il sopracciglio a chi aspettava la serie esclusivamente per assistere a nuovi assurdi massacri, si può comunque sostenere che questo cambio di rotta risulti – almeno nelle intenzioni – quanto di più innovativo sia stato sperimentato con la bambola assassina da lungo tempo a questa parte.

Quasi amici
La storia comincia nel più classico dei modi, mostrandoci il tredicenne Jake Wheeler che tra tutte le bambole possibili sceglie il modello sbagliato e si porta a casa quella posseduta dal serial killer Charles Lee Ray. Sin dai primi episodi si giunge però ad un interessante punto di svolta: Chucky non uccide come suo solito chiunque gli capiti a tiro ma, vedendo il ragazzo bullizzato e preso in giro da chiunque, decide inaspettatamente di aiutarlo “a diventare un uomo”.
La serie tv pone infatti al centro del racconto il macabro patto di amicizia che viene a crearsi tra un serial killer in corpo di bambola e un ragazzino omosessuale di tredici anni, emarginato tanto dagli adulti freddi e violenti così come dai compagni di classe prepotenti e antipatici. Un individuo allontanato da tutti e quindi in condizione tale da accettare qualsiasi mano gli venga tesa, sia pure quella corta e tozza di una bambola assassina. Chucky è l’unico che gli si dimostri empatico, comprensivo anche riguardo la sua omosessualità.

Chucky: «Non sono mica un mostro, Jake»
Non c’è allora da stupirsi se quando Jake vede Chucky uccidergli il padre violento o umiliare pubblicamente chi lo bullizza quasi non si scompone: il suo nuovo ed inquietante amico non fa nient’altro che dire quello che lui (e ciascuno di noi) avrebbe voluto dire quando veniva preso in giro, quello che avrebbe voluto fare quando veniva picchiato. Il problema è che giunti a metà stagione questa interessante intuizione si risolve in un nulla di fatto: appena le azioni di Chucky sfuggono – prevedibilmente – al controllo di Jake e un innocente perde la vita, ecco che il protagonista si fa prendere dai sensi di colpa e capisce che quella dell’odio e della violenza non è la strada giusta da percorrere.
Da questo momento è tutto un susseguirsi di moralità da quattro soldi e di momenti già visti: Jake fa squadra con il ragazzo per cui ha una cotta e con il suo bullo per annientare Chucky, ridotto ormai a nemico comune. Prevedibilmente, ognuno imparerà ad apprezzare i pregi e i difetti dell’altro e ad assumere nuovi punti di vista. Negli episodi centrali la serie perde in originalità, le tematiche introdotte vengono banalizzate e si passa da toni propriamente horror a quelli di uno scontatissimo teen drama.
Chi non muore si rivede
Diventa allora chiaro che tutto quello che Chucky aveva da dirci sull’argomento termina prima che la serie giunga a metà. Non riuscendo a ricavare nient’altro da questo gruppo di ragazzini si inizia a dare sempre più spazio a temi e personaggi che riguardano i film passati. Con crescente frequenza, ad esempio, le vicende dei protagonisti vengono alternate a flashback di Charles Lee Ray mostratoci prima della trasformazione in bambola; ricordi senza dubbio interessanti per gli appassionati della saga ma che non arricchiscono la trama, se non aggiungendo momenti di sangue e aumentando il ritmo nei momenti stagnanti.

Sempre più spazio viene dato poi ad Andy, la vittima dei primi tre film, ora cresciuto e intenzionato ad uccidere Chucky; a Tiffany, la fidanzata della bambola assassina, a Nika e agli altri bambolotti visti nell’ultimo film prima del reboot (Cult of Chucky, 2017). Le uccisioni aumentano, ritornano le situazioni surreali che hanno caratterizzato numerosi capitoli della saga, vengono pronunciati dialoghi inverosimili come quello in cui Tiffany si lamenta del pene da bambola di Chucky. Il finale della serie viene rubato integralmente dal pantheon di personaggi che abbiamo conosciuto nel corso degli anni – qui riuniti per darsele di santa ragione – mentre le tematiche del bullismo e dello stigma dell’omosessualità introdotte all’inizio vengono marginalizzate.
La scelta di introdurre tutti questi personaggi soltanto negli ultimi episodi può spaesare gli spettatori che si approcciano al franchise per la prima volta. Chi non ha visto i film della saga passa infatti dal seguire le avventure di Jake al doversi raccapezzare tra riassuntoni e spiegazioni varie, costretto nella fastidiosa operazione di dover capire di volta in volta chi sia e cosa voglia ora quel nuovo personaggio, ora quell’altro.

Chucky inizia allora parlando di qualcosa ma termina mettendo in scena qualcos’altro. Nonostante il promettente inizio, “l’atto di speranza contro il bullismo” di cui parlava Don Mancini si rivela un goffo tentativo da parte del franchise di gestire argomenti piuttosto delicati, e che forse non gli appartengono. Per la seconda stagione – già annunciata, e che debutterà probabilmente questo autunno – la speranza è che Chucky compia una sola scelta e che la persegua coerentemente fino in fondo, decidendo se adottare o i toni ironici e scanzonati che hanno reso celebre la saga o più inediti toni drammatici, aprendosi quindi a più livelli di lettura ed introducendo – questa volta con maggiore serietà – rilevanti tematiche sociali.
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