
Il cinema in radio: Jean Seberg nel radiodramma di Paolo Taggi – Parte 2
Il 9 settembre 1979, Jean Seberg viene trovata senza vita, distesa sul sedile posteriore della sua auto, parcheggiata nel XVI arrondissement. Viene appurata, come causa del decesso, l’assunzione smodata di alcool e barbiturici. Nella mano, la diva stringeva un biglietto per il figlio Diego: “Perdonami, non ce la faccio più a combattere contro i miei nervi”.
Di sfumature Jean Seberg ne presenta molte: “generosa fino ai limiti del controproducente da un lato, in lotta con una insostenibile fragilità dall’altro. C’è una Seberg angelo, una Seberg tentarice, e una ancora più diabolica“. Impossibile districarle una dall’altra, quello che si può fare è vivere con loro, senza giudizio, questa storia intensa. Nella seconda parte dell’intervista a Paolo Taggi (se avete perso la prima, potete recuperarla qui) ci confronteremo sulla figura di Romain Gary, sul suo doppio letterario Émile Ajar e sul tormentato rapporto sentimentale tra lo scrittore e la diva protagonista del radiodramma.

L’insostenibile fragilità dell’essere è un originale Radiofonico in 7 puntate (ascoltabili cliccando qui), sugli ultimi giorni di vita della diva della Nouvelle Vague francese. Prodotto da Francesca Giorzi per Rete Due Rsi – Radiotelevisione della Svizzera Italiana, la regia è curata da Paolo Taggi. Il radiodramma è andato in onda su Rete Due della RSI da domenica 9 maggio a domenica 20 giugno e in replica su Rete Uno.
In questa storia l’amore ha un ruolo centrale. Gary e Seberg sono due pianeti distanti, eppure in qualche modo seguono ancora le reciproche orbite. Citando Carrere: “tutto ciò che li divide finisce per legarli di più”. Quanto peso ha questo sentimento tormentato nella scomparsa prematura della donna?
Quanti strati contiene una storia d’amore? Me lo sono chiesto pensando a Seberg/Gary. Si conoscono ad un ricevimento ufficiale voluto dal giovane marito di lei, brillante avvocato, che appartiene all’alta borghesia francese. Gary è console a Los Angeles, appena vede Jean, lascia ogni diplomazia. Ridicolizza l’”avversario”, corteggia esplicitamente lei davanti a tutti gli invitati. Lei è confusa e al ritorno in Francia viene ricoverata in clinica dove le viene prescritto il totale isolamento.
Ma Gary si traveste da medico e per una settimana è accanto a lei. Esplode l’amore. Il matrimonio precedente viene annullato per ‘crudeltà mentale’ di lui. Quando Jean scopre di essere incinta, programmano il matrimonio. Lei è fiera, di Gary, anche se soffre la sua superiorità evidente. Lui non teme la sua scatenata sessualità, ma si garantisce per contratto che lei gli lascerà il tempo di scrivere. Lui ha bisogno di correggere la vita reale sulla pagina, lei ha bisogno di copioni per superare la paura dei vuoti. Lui era uno di quelli che dettano la propria leggenda. Lei aveva paura di essere sorpresa da se stessa alle spalle. Combattono così: non uno contro l’altro, ma neppure con o per l’altro.

Il loro è un amore intransitivo. Il romanziere senza fiato e l’eroina in frantumi. Il tradito per destino e l’infedele incorreggibile, contro la quale si vendicherà nei film che dirigerà per lei. Inseguendo la parvenza di una coppia normale Jean e Romain vanno ad Hollywood, con il bambino e uno zoo, che comprende gatti, tucani e pitoni. Frequentano la Casa Bianca e la jet society. Lui scrive quasi sempre di loro, più o meno dichiaratamente. In Chiaro di donna, lei riconosce la metafora della loro storia. In quel romanzo c’era qualcosa di più e di diverso. Che effetto le avrebbe fatto, il film? I protagonisti del racconto si chiamano Michel, come Belmondo in A bout de souffle e Lydia.
Lei potrebbe essere la Patrizia del film di Godard, vent’anni dopo: la persona migliore che una donna sofferente avrebbe potuto diventare. Tutto coincide. Tranne un particolare decisivo: che la parte di Lydia non sarà Jean ad interpretarla. Quando la sera del 29 agosto va a vederlo, al cinema Passy, quella donna sola che si confonde tra gli sconosciuti in platea è una persona derubata della propria vicenda sentimentale. “In quel bagliore di un incontro invidiabile“, pensa, “ci siamo noi dopo noi. Io e Romain. La metà che resta del naufragio“.
Questa volta l’uomo che aveva fatto di tutto perché il cinema non la perdesse di vista si era fatto da parte. La sua firma tra gli sceneggiatori è solo un errore o un inganno. Ha ceduto i diritti a condizione di non essere in alcun modo coinvolto nella realizzazione. Vedrà anche lui il film in una sala di Parigi, quella stessa sera. Da qualche altra parte, con un’occasionale compagna. Jean ha incontrato più volte il regista. Lo conosceva bene. Gli ha confessato che sentiva suo quel personaggio, ma lui non l’ha mai illusa. Aveva in mente un’altra donna con la tragedia nello sguardo.
La verità è che il suo ultimo film importante l’ha girato quasi dieci anni prima: Airport. Continueranno a chiamarsi “darling e chéry”. E ognuno a definire l’altro l'”immigré”. Vivranno fino a un mese dalla morte di lei nello stesso palazzo, in Faubourg Saint Germain, anche se in due appartamenti diversi. Fedeli alla promessa pronunciata all’alba della loro storia clamorosa: “non ci perderemo davvero mai“.
Roman Gary ha un proprio percorso all’interno del dramma, tra le altre vi è traccia dell’ironica e audace sfida del tenere in vita un doppio letterario, Émile Ajar. Per quale ragione ha sentito necessario l’affrontare questa aspetto della vicenda dello scrittore?
Romain Gary ha passato la vita a mettere in abisso se stesso, ad autoingannarsi in un fantasmagorico gioco di specchi fatto di pseudonimi, luoghi di nascita, padri immaginati per sfuggire al destino. Ha cambiato persino la data di nascita del figlio. Ha sposato Jean in un paesino della Corsica, con una cerimonia teatralmente segreta. Ma Jean Seberg, la diva fragile, per certi versi inaffidabile era anche l’unica a conoscere, insieme agli editori Gallimard, amici di Gary da sempre, l’ultimo segreto dello scrittore.

L’atto di rivincita che gli consentirà di aggirare le regole e ridicolizzare i Giurati del Goncourt, vincendolo due volte, con due nomi diversi. Ajar, l’autore della modernità – l’affossatore del superato, arcaico Gary – non esiste. E’ Gary stesso, creatore del suo antagonista e assassino letterario. Come atto di fiducia estrema, Gary lo ha raccontato a Jean. Sono complici, anche in questa sfida estrema al mondo. Per questo è importante questo particolare nel mio lavoro. Perché decreta, sancisce, valorizza il loro rapporto. Jean è inaffidabile, spesso Romain è spaventato dalle sue crisi e dalle sue debolezze, ma affida a lei il segreto più importante della sua vita.
Il protagonista di una delle storie secondarie è Mathieu, il giovane studente che conosce Jean Seberg sedendo presso la stessa panchina. Cosa cercava nel confronto tra uno studente e una diva sul viale del tramonto, quale necessità narrativa ha originato questo incontro?
Ha scritto Romain Gary: “Ogni romanzo se potesse sognare si immaginerebbe la realtà“. E’ venuto il momento di svelare la coincidenza di cui ho accennato nella prima risposta. Ero andato a Parigi spinto da un’idea ancora in filigrana: raccontare gli ultimi giorni di Jean Seberg dopo aver visto il film che l’ha esclusa.
Ho comprato libri e passeggiato lungo le strade che ho immaginato avesse percorso anche lei. Tutto è partito da un turning point che di solito arriverebbe verso il finale. L’ho accennato rispondendo alla prima domanda. Metà agosto del 1979. Jean Seberg ha quasi quarant’anni, è logorata dalle battaglie che nessuno le ha chiesto di combattere.

Dai divi sbagliati che ha incontrato sui set (Gene Hackman, Warren Beatty, Peter Sellers) e dai perdenti che godevano a ferirla. Dalle cause ideali perse in partenza perché nessuno aveva chiesto il suo aiuto. Qualche giorno prima, Jean aveva lasciato Rue du Bac, in Faubourg Saint Germain, dove aveva vissuto per quasi vent’anni prima insieme a poi a fianco di Romain Gary.
Qualcosa l’ha spinta a ritornare nel “suo” quartiere. Si siede nel giardino vicino a un giovane sconosciuto che sta leggendo. È lei che comincia a parlare. Parlano per qualche minuto: in una piccola sala dove i film sembra di toccarli. proiettano ancora A bout de souffle. È lì che lo studente, collaboratore di una radio privata delle Banlieue, l’ha vista per la prima volta. La voce della Seberg viene da lontano. La solitudine l’ha lasciata sola. Negli occhi, la luce spenta che mandano le stelle dei cieli irregolari. Tutto inizia e finisce nello stesso momento.
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[…] una diva ancora giovane, sebbene già sul viale del tramonto. Questa prima parte dell’intervista (qui è disponibile la seconda), divisa in due articoli (dati i diversi argomenti trattati), è […]