
Michael Shannon – Quando un caratterista diventa protagonista
Saranno le palpebre cadenti o forse la bocca che si muove a malapena quando pronuncia una battuta. Sarà lo sguardo quasi vacuo, ma anche minaccioso, che a detta sua lo porta a sembrare infastidito anche quando è seduto in posizione neutra. Qualcosa nel volto e nei manierismi dell’attore statunitense Michael Shannon ha convinto Hollywood a relegarlo in ruoli ben precisi: da una parte cattivi esagerati, da fumetto, che però grazie a Shannon assumono credibilità nonostante sceneggiature deboli (Generale Zod in Man of Steel), dall’altra vediamo una cattiveria più sottile, dove sibili e occhiate minacciose prendono il posto delle urla (Richard Strickland ne La forma dell’acqua di Guillermo del Toro). L’Academy l’ha notato solo in due occasioni regalandogli nomination come Miglior Attore non protagonista per Revolutionary Road di Sam Mendes e Animali Notturni di Tom Ford, due ruoli ugualmente ridotti, caratterizzati dalla stessa sensazione di disagio che infondono negli altri personaggi. Michael Shannon ha trovato il modo di superare questa monotonia impostagli da Hollywood, sia continuando a recitare a teatro che collaborando con autori più indipendenti. Nel secondo caso emerge prepotente il nome del regista e sceneggiatore americano Jeff Nichols.
Nichols nel 2004, mentre era alle prese con la sceneggiatura di quello che sarebbe poi diventato il suo primo film, Shotgun Stories, aveva in mente solo il nome di Michael Shannon per il ruolo di protagonista, soprattutto dopo averlo visto in 8 Mile e High Crimes. Grazie a un suo ex professore riuscì a contattarlo e per il feeling creatosi fin dal primo incontro l’attore gli disse di sì. Da quel giorno Nichols come regista e sceneggiatore ha realizzato, incluso Shotgun Stories, cinque lungometraggi e un corto e in tutti questi Shannon è sempre stato una presenza fissa.
Nichols ha deciso fin da Shotgun Stories di dare a Shannon qualcosa che fino a quel momento della sua carriera non aveva ancora avuto: un ruolo da protagonista. Qui interpreta Son, un giovane costretto ad affrontare insieme ai due fratelli le difficili conseguenze della morte di un padre che non li ha mai amati. Shotgun Stories si presenta come un western semplice dove però il volto di Shannon assume sfumature nuove per il pubblico. Improvvisamente la sua durezza lascia spazio a una sincera preoccupazione: il suo obiettivo non è difendere l’onore di qualcuno, ma proteggere quello che è rimasto della sua famiglia, senza andare contro il suo codice morale.
Take Shelter arrivò nel 2011, a quattro anni di distanza dal precedente. Era una produzione decisamente diversa sia per la grandezza del progetto (che venne presentato al Sundance per poi vincere il Grand Prix alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes) che per il genere toccato (un viaggio a metà tra il dramma e il thriller introspettivo). Shannon in questo film passa dall’essere figlio a padre, figura che da questo momento in avanti occuperà spesso nei film di Nichols. In Take Shelter interpreta Curtis LaForche, invidiato da tutti per la sua vita bella e priva di preoccupazioni con moglie (Jessica Chastain) e figlia (Tova Stewart), che però un giorno inizia a essere tormentato da incubi incredibilmente realistici e da visioni apocalittiche. Questi gli tolgono il sonno e lentamente corrodono la sua salute mentale. In Take Shelter Nichols trova il modo di giocare con l’immagine che il pubblico ha di Shannon, passando da un estremo all’altro del range per cui Hollywood solitamente lo sceglie. La sua intensità questa volta è al servizio di un complicato viaggio completamente interno alla vita del protagonista e anche solo guardando lo sguardo di Curtis LaForche è possibile percepire le paranoie che stanno lentamente distruggendo la sua stabilità mentale. La sua recitazione in Take Shelter è un’operazione precisa che funziona per sottrazione, attraverso il non-detto, per poi esplodere all’improvviso, creando nello spettatore sia il timore che è condizionato a provare in presenza dello stereotipato personaggio di Shannon, sia una sofferenza raramente vista in lui. Midnight Special del 2016 vide l’attore in un ruolo similare: quello di un padre spinto dalla volontà di preservare il figlio con poteri paranormali (Jaeden Martell, con cui poi ha lavorato anche in Knives Out) da persone che li vorrebbero usare in modo sbagliato. Il suo Roy è un uomo accecato dal desiderio di difendere pure ciò che gli sta lentamente sfuggendo dalle mani, e la lunga fuga disperata come ricercati che compiono lui, il figlio Alton e l’amico Lucas (Joel Edgerton) si dimostra come un’altra occasione per Shannon di uscire dai dettami che Hollywood ha voluto a lungo imporgli, spostandosi con precisione calibrata tra affetto, disperazione e caparbietà.
Nichols ha percepito in Shannon una gentilezza e una dolcezza che nessun altro ha avuto modo di captare. Persino nei ruoli più piccoli all’interno della filmografia dell’amico e collaboratore l’attore non interpreta mai personaggi negativi, ma piuttosto figure che portano calore e conforto in chi le incontra (in Mud interpreta lo zio di uno dei protagonisti finendo però per essere più una vera e sana figura paterna e in Loving invece è il fotografo Grey Villet che attraverso il suo obiettivo presentò la famiglia Loving al mondo intero). Attraversare la filmografia di Jeff Nichols significa vedere Michael Shannon attraverso gli occhi di un regista e sceneggiatore che ha desiderato capirlo nel profondo, dando a un caratterista un palcoscenico degno del suo talento.
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