
La paranza dei bambini – Attraverso gli occhi di un adolescente
Nel gergo della camorra napoletana la “Paranza” individua la batteria di fuoco di un gruppo camorristico, ma il termine nasce in realtà in ambito marinaresco, “Viene dal mare”. La paranza è innanzitutto una piccola imbarcazione utilizzata per pescare i pesciolini che si trovano sui fondali con le reti da strascico. Per estensione, dunque, indica quei pesci talmente piccoli da poter essere cucinati solamente fritti, uniti tutti insieme nel delizioso cuoppo napoletano. Da questo duplice significato prende le mosse il film di Claudio Giovannesi, La paranza dei bambini, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano e vincitore dell’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura alla 69esima edizione del Festival di Berlino, da poco conclusosi. Giovannesi, che già aveva diretto due episodi della serie TV Gomorra, ha lavorato alla sceneggiatura insieme allo stesso Saviano e allo scrittore napoletano Maurizio Braucci.
La paranza dei bambini è ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti, tuttavia la pellicola non si esaurisce nella loro ricostruzione puntuale, ma è prima di tutto una storia sull’adolescenza. Come ha dichiarato lo stesso regista, il film cerca di indagare cosa succede nella vita di otto adolescenti quando intraprendono una serie di azioni criminali; come mutano – in conseguenza della scelta della violenza e della malavita – i loro sentimenti, l’amicizia e i primi amori, vissuti in maniera assoluta. La vicenda è ambientata nei quartieri centrali di Napoli, ci muoviamo infatti tra il Rione Sanità e i Quartieri Spagnoli, vero e proprio cuore pulsante della città partenopea. Protagonisti sono un gruppo di ragazzi, appena 15enni, che decidono di prendere il controllo del loro quartiere, sottraendolo al boss mafioso che vessa i suoi negozianti chiedendo loro il pizzo. Ed è proprio la rabbia e la frustrazione verso questa spregevole pratica a spingere Nicola, leader del gruppo, alla rivolta. Ma c’è anche la brama di potere e di soldi; a spingerli è un desiderio di riscatto sociale attuato con l’unico linguaggio che questi giovani ragazzi conoscono, quello della violenza e della supremazia del più forte.
L’aspetto più interessante del film è l’oscillare tra cronaca e realismo da una parte, romanzo e iperbole dall’altra. La criminalità è raccontata attraverso gli occhi di questi adolescenti, creature che sanno ancora di latte e che “giocano” a fare la guerra. Partono alla conquista del Rione Sanità in sella ai motorini; spensierati, incoscienti, ancora innocenti. Il contrasto tra le azioni criminali e il loro essere ancora dei bambini è ciò che maggiormente colpisce lo spettatore, che li vede rapinare una gioielleria o puntare armi cariche contro le persone e poco dopo abbuffarsi al fast food o litigare per le merendine. Per enfatizzare questa antitesi, Giovannesi, durante un casting estremamente lungo in cui sono stati visti più di 4000 ragazzi, ha cercato i volti perfetti per restituire questa innocenza, lontani dall’immagine stereotipata del delinquente.
Se inizialmente la scelta della criminalità appare ingenua, un gioco fin troppo reale di cui i giovani protagonisti non sembrano soppesare le conseguenze, il primo omicidio, compiuto da Nicola a sangue freddo, segna il punto di non ritorno, preludio del tragico epilogo della vicenda. È interessante sottolineare come questo omicidio venga eseguito da Nicola mentre è travestito, ad indicare forse il bisogno di indossare una maschera per poter portare a termine il tragico atto che segna la perdita definitiva dell’innocenza e dell’ingenuità nonché l’ingresso nella vita criminale. La macchina da presa di Giovannesi insiste molto sul viso espressivo di Nicola, interpretato dal giovane e sorprendente Francesco Di Napoli; sullo schermo vediamo il cambiamento di questo volto, la spensieratezza iniziale che lascia presto il posto a una nuova durezza dello sguardo, una nuova, dolorosa, consapevolezza.
Sfondo suggestivo di tutta la vicenda è una bellissima e riconoscibilissima Napoli, con i suoi vicoli affollati, pieni di bancarelle e panni stesi, le cave di tufo, il cimitero delle Fontanelle con le capuzzelle porta fortuna. Tuttavia quello di Giovannesi non vuole essere un film su Napoli o sulla mafia; «raccontiamo Napoli non per raccontare Napoli ma per parlare del mondo» ha dichiarato il regista in un’intervista rilasciata a Cult, su Radio Popolare. La paranza dei bambini racconta una vicenda universale, ha come fulcro l’adolescenza e il suo rapporto con la criminalità. Appaiono dunque sterili le polemiche nate intorno al film, da cui ormai è circondato il nome di Saviano, che lamentano una rappresentazione sempre negativa della città partenopea; il film, come si è visto, è molto di più.
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