
La triste banalità di “Creed II”
Quando vidi Creed (2015), di Roger Coogler, il primo film di questa nuova saga sul più famoso pugile del Cinema, rimasi inaspettatamente sorpreso dalla qualità della pellicola. Presentava difetti di non poco conto – su questo non vi sono dubbi –, ma nel panorama delle pellicole degli ultimi anni che hanno trattato la Nobile arte (anche se inassimilabile al capolavoro Rocky – scritto da Silvester Stallone nel 1977 in soli tre giorni, e diretto da John G. Avildsen) risulta essere forse la migliore. Il film aveva il merito di provare a mostrare qualcosa di nuovo, con una “parte tecnico-pugilistica” all’avanguardia nel panorama delle pellicole che trattano di boxe. Basti pensare che l’attore principale antagonista di Adonis Creed (o “Jhonson”, come vuole farsi chiamare fino ad un certo punto della storia) è Tony Bellew (Ricky Conlan è il nome del suo personaggio), all’epoca campione del mondo WBC (la più prestigiosa delle cinque cinture mondiali riconosciute), uno dei campioni di categoria migliori degli ultimi tempi, in quegli anni praticamente imbattibile. Per non citare la comparsa di un’altro dei più forti campioni del mondo degli ultimi vent’anni, nel ruolo dello sparring partner Danny “Stuntman” Wheeler: Andre “Son of God” Ward, ritiratosi imbattuto nel 2017, oro olimpico nel 2004 e ultimo campione della categoria ad aver posseduto contemporaneamente tutte le cinque cinture mondiali riconosciute; un probabile hall-of- famer, per intenderci.
Tutto ciò per dire che – almeno per quel che riguarda l’esigenza che il “comparto pugilistico” del lungometraggio rispecchiasse in maniera più verosimile possibile la “realtà della boxe” – il film (questa volta scritto da Coogler) aveva una sua credibilità. Come accennato, però, la pellicola presentava non pochi difetti – non per quel che riguarda l’aspetto tecnico-cinematografico (ineccepibilmente girata senza lode né infamia) –, bensì per un’indiscutibile fragilità nella scelta del soggetto principale, e nella scrittura. Adonis è un “ricco” con un’istruzione da “ricchi” e un’infanzia complicata, che, praticamente di punto in bianco, decide di dimettersi dal suo lavoro (fantasmagorico) nel mondo dell’alta finanza, al fine di tentare una poco verosimile scalata ai vertici mondiali della boxe professionistica; il tutto legittimato (o almeno è quello che vogliono farci bere) da una linea di sangue (è il figlio del compianto Apollo Creed, interpretato dal mitico Carl Weathers) di per sé sufficiente (?) a farlo diventare campione del Mondo, prima o poi.
D’altra parte, però, il ruolo di Rocky rimaneva ancora credibile (per l’ennesima volta – sembra impossibile a credersi). Il celeberrimo pugile è riuscito a combattere un’altra grande battaglia: contro il cancro e contro se stesso, vincendo ancora, merito di quella grande forza di volontà capace di rappresentarlo come il “sopravvissuto”, come colui che a tutti sopravviverà.
Ecco, se quella è stata indubbiamente una buona pellicola – con tutti i suoi difetti e i suoi limiti –, la nuova, Creed II (nelle sale italiane dal 24 gennaio), è qualcosa di – oserei dire – insopportabile. Volendo prendere a riferimento le sette pellicole del “pianeta Rocky Balboa”, a mio avviso, questa è di gran lunga la peggiore. Il personaggio principale, Adonis Creed (interpretato da Michael B. Jordan) riesce ad essere – difficile ad immaginarsi – ancora meno credibile del primo episodio. Questa volta il ruolo di Rocky, diventato quasi del tutto marginale, non riesce a tenere a galla una storia che è praticamente la malriuscita copia di Rocky 3 mischiata a Rocky 4. Parlo di “malriuscita copia” perché i presupposti sono una mescolanza di uno e dell’altro film: Adonis, pur non ascoltando i consigli del suo vecchio allenatore, decide di affrontare il campione che viene dal nulla, pieno di rabbia e odio (questa volta bianco e senza cresta), e perde in malo modo. Riappacificatosi poi con il buon vecchio allenatore (se l’avessero fatto morire, come fu per l’unico e inimitabile Mickey Goldmill – interpretato dal grande Burgess Meredith –, forse forse…) e andando a combattere questa volta in Russia (eccolo qui Rocky 4), riuscirà – manco a dirlo – nell’impresa (e non ho alcuna remora per questo spoiler, visto che – per tutta la pellicola – non vi sorgerà il minimo dubbio che il campione possa fallire).
Sono uscito dalla sala incazzato e schifato, talmente si rivelano scontati la storia e il suo finale (nonostante le mie aspettative non fossero certo quelle che avrei per un nuovo Toro Scatenato di Scorsese). L’unico aspetto favorevole, se proprio ne vogliamo trovare uno, sta nei personaggi antagonisti, e nella – almeno tentata – verosimiglianza e credibilità: padre e figlio Drago, interpretati rispettivamente dal grandissimo Dolph Lundgren e da Florian Munteanu (non si capisce bene chi sia quest’ultimo: viene presentato come “real boxer” rumeno, con il soprannome di “Big nasty”, ma di lui non si trova traccia nei ruolini ufficiali di qualsivoglia sigla pugilistica).
Insomma, per concludere, in genere cerco sempre di evidenziare i lati positivi delle pellicole di cui scrivo, e – solitamente, al di là dei giudizi personali – qualcuno ne hanno, ma questa volta (sarà anche per la mia personalissima passione per la boxe, avendola praticata agonisticamente) non riesco a trovare nessun motivo per consigliare a qualcuno – se non per fargli un dispetto – di andare al cinema a vedere questa malriuscita indecenza.
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A me invece è piaciuto molto. Ricalca e approfondisce i temi di Rocky IV. Se ti va dai un’occhiata alla nostra recensione di Creed II sul nostro sito e lascia like.