Una lesbica salverà il mondo, o almeno così spera Pluribus
[Disclaimer: il seguente articolo contiene spoiler per i primi quattro episodi della prima stagione di Pluribus]
Essere lesbica è difficile. Non è una competizione a chi soffre di più nella comunità LGBTQ+, quanto piuttosto una semplice constatazione a cui sono arrivata nel corso degli ultimi anni. Non parliamo di elementi mondani tipo quanto sia limitata la dating pool o dello scenario horror sulle app di appuntamenti. La società eterocispatriarcale in cui ci muoviamo non percepisce la possibilità che possano esserci esistenze femminili dove l’uomo ha una posizione decentrata – perché alla fine ai vertici non interessa l’attrazione per le donne ma il ruolo dell’uomo in tutto ciò – e di conseguenza una donna lesbica è vista come un’anomalia e soprattutto qualcosa da correggere. Nell’esistere e resistere a volte sembra di impazzire, di impazzire, di parlare contro un muro perché abitiamo un mondo che non è naturalmente predisposto a renderci felici.
Come esistono le macchine per far provare i dolori mestruali a chi non può viverli, il modo più semplice ed efficace per esperire la rabbia e l’alienazione che ogni lesbica prova quotidianamente è vedere Pluribus, la nuova serie di Vince Gilligan per Apple TV. Se il nome vi suona familiare è perché è il creatore di Breaking Bad e Better Call Saul, nonché autore per The X-Files: insomma un pilastro della televisione, ma non il teorico LGBTQ+ da cui sarebbe facile aspettarsi un dipinto così vivido e realistico di quella esperienza. Agli inizi Gilligan aveva visionato per Pluribus un protagonista maschile – una scelta probabilmente più sicura visto il modo in cui era stata trattata Skyler White dal fandom di Breaking Bad -, però interessato a continuare a lavorare con Rhea Seehorn dopo Better Call Saul, ha creato Carol Sturka, in pubblico un’autrice di romantasy (immaginate un Harmony con elementi fantasy) e nel privato una donna lesbica sposata stufa di scrivere storie d’amore etero, definendole “stronzate senza senso”.

La sua vita è ovviamente più complicata della mera decisione di fare coming out o meno e durante il suo tour di firmacopie in accompagnamento all’uscita del quarto volume della saga di Wycaro, l’umanità, inclusa sua moglie e agente Helen (Miriam Shor), inizia a essere colta da violenti spasmi e chi non muore diventa un avatar privo di vera e propria agency e individualità collegato a un gigantesco cloud cerebrale.
Carol è una tra i tredici “superstiti”, ultimi detentori di una personalità propria, e con ogni probabilità è l’ultima lesbica presente al mondo, non che adesso a qualcuno interessi davvero della sua sessualità. Ora che la popolazione è stata omogeneizzata è sparito ogni tipo di discriminazione, che sia per il colore della pelle, per il genere o per chi si ama e Carol potrebbe essere libera di amare Helen in pubblico senza timore delle ripercussioni sulla sua carriera. Helen però non c’è e anche se ci fosse non sarebbe più lei, ridotta a un corpo abitato da una forza estranea, e non potrebbe più amare Carol come solo lei sa fare. La loro relazione, un oggetto sacro e segreto, diventa, con l’upload della mente di Helen sul cloud di dominio pubblico tramite un outing collaterale e un semplice nome si trasforma ora un’arma di ricatto emotivo.

Se è facile vedere Helen come l’ennesima istanza del Bury your gays, un triste trend seriale che nega con la morte ogni finale felice ai personaggi omosessuali, conosciuto anche come dead lesbian syndrome per vedere le lesbiche come sue prime vittime, la narrazione si impegna per “mantenerla in vita”. Non è solo la ragione della tristezza di Carol, esiste e si muove sullo schermo, rivelandosi al pubblico anche attraverso flashback che ricostruiscono frammenti della relazione. All’inizio del terzo episodio, “Granata“, vediamo Carol e Helen recarsi in un albergo di ghiaccio in Norvegia, una vacanza nata per distrarre l’autrice dalla sua posizione in classifica e per godersi l’aurora boreale, e bastano quei pochi minuti per far emergere il loro linguaggio e con esso la peculiarità del loro amore. Nella sua apparente assenza fisica, Helen è presenza costante, una bussola, una ragione di vendetta, un motore che spinge Carol a lottare e anche un dolore che vorrebbe poter elaborare in privato.

Il lesbismo di Carol plasma anche difatti il modo in cui la mente-alveare sceglie di interagire con lei. Avendo come obiettivo ultimo la sua felicità, costruisce su misura Zosia (Karolina Wydra), la sua principale interlocutrice che si occupa di rispondere alle sue richieste anche se questo a volte comporta offrirle delle granate o rifornire di merce interi supermercati. Zosia è soprattutto un corpo scelto, truccato e acconciato per assomigliare il più possibile a Raban, il corsaro che funge da interesse amoroso principale nella saga di Wycaro, con una sola differenza: il genere. La scelta non è dettata solo da una possibilità di attrazione sessuale (Carol dopotutto la definisce “dannatamente scopabile” nel quarto episodio), ma anche dalla prima genesi dei suoi romanzi, che vedevano al centro una storia d’amore tra due donne. L’adesione alla difficile legge del mercato non è un tradimento del suo lesbismo, è un difficile compromesso e l’accettazione di parte di Carol di essere percepita socialmente come una donna eterosessuale, perché la sua differenza è invisibile.
Nel secondo episodio, “Piratessa” (dal soprannome che affida a Zosia), Carol chiede di incontrare il gruppo di sopravvissuti anglofoni e Otgonbayar (Amaraa Sanjid), Xiu Mei (Sharon Gee), Kusimayu Darinka Arones) e Laxmi (Menik Gooneratne) sono tutti accompagnati da nuclei familiari stabili, nonostante la nuova mentalità, tra mogli, mariti, genitori e figli. Gli unici single sono Carol e Koumba Diabaté (Samba Schutte), un “gentiluomo della Mauritania” che arriva a Bilbao, la location designata per il peculiare G-6, con un gigantesco jet abitato da donne in costumi succinti. Al contrario di Carol, la differenza di Koumba – il colore della sua pelle – non è celabile e ora nella nuova Terra gli è permesso di accedere a tutta una serie di privilegi che prima gli erano completamente preclusi. Per lui avere un’intera umanità ai suoi piedi per servirlo e renderlo felice è una situazione ideale e Carol, con la sua rabbia esplosiva e omicida (letteralmente perché capace di uccidere milioni di persone), rischia di rovinare tutto ciò. Lei – unica persona americana e bianca e quindi già detentrice a tutti gli effetti di quei privilegi – rivuole il vecchio mondo indietro, mentre Koumba e gli altri sopravvissuti sono pienamente a loro agio nella nuova realtà, a tal punto da desiderare di essere assimilati alla mente-alveare.

Carol non prende nemmeno per un momento in considerazione l’idea di unirsi, dimostrando un atteggiamento di completa diffidenza persino verso le bottiglie d’acqua che Zosia le offre per evitare che abbia un colpo di calore. Quando accetta i favori di quell’esercito di corpi vacui, lo fa per pura necessità o per dimostrare le sue teorie come dimostra la lavagna presente nel suo studio. La mente-alveare vuole “capire cosa c’è di diverso in lei, così da poterlo aggiustare”, perché la diversità di Carol deve essere annullata per garantire il benessere “collettivo”, per quanto si possa parlare di collettività in un mondo dove l’individualità non esiste più al di là dell’aspetto estetico.
Qualora non fosse già un’evidente metafora della terapia di conversione, quei campi di matrice fortemente cristiana che promettono di salvare dai propri demoni i giovani finiti sulla cattiva strada dell’omosessualità e del transgenderismo – dopotutto il primo tentativo di contagio verso Helen è un bacio non consensuale da parte di un uomo – il quarto episodio, “Per favore Carol“, rende manifesta quest’associazione e il rapporto intrinseco tra il lesbismo della donna e il suo approccio alla mente-alveare.
In una conversazione con Zosia, mentre questa giace sul letto d’ospedale – gli effetti collaterali della granata di prima -, emerge Camp Freedom Falls, la struttura nella quale Carol è stata mandata da sua madre ad appena sedici anni “mentre stava cominciando a capire se stessa”. I consulenti sul campo sorridevano in continuazione, mentre abusano fisicamente e psicologicamente, fino al punto di rottura, giovani che non avevano alcuna necessità di essere aggiustati ma solo di vivere liberamente la propria vita con i loro desideri. Zosia le ricorda che la mente-alveare “ama e accetta ogni essere umano”, accogliendo ogni differenza possibile e negando le discriminazione. Per Carol si tratta di una menzogna, di una frase fatta per rassicurarla in un raro momento di fragilità, perché se così fosse, allora le lascerebbero la sua autonomia di persona non infetta. Se la mente-alveare dice di conoscere la sofferenza e la solitudine che lei sta vivendo e di potervi partecipare in qualche forma partecipare, non potrà mai vedere il mondo attraverso gli occhi di Carol, con il suo vissuto e i traumi che ne conseguono, presenti nella sua coscienza collettiva solo grazie alle menti di terzi.

È difficile se non impossibile prevedere dove andrà Pluribus nelle quattro stagioni concepite da Vince Gilligan e su Reddit, mentre fraintendono persino gli stessi flashback credendo che abbiano riportato Helen in vita ad cazzum, alcuni spettatori confusi hanno cominciato a domandarsi se Carol non sia già stata assimilata dalla mente-alveare. L’unica certezza che ho è che la serie non potrebbe esistere, perlomeno non nel modo in cui la conosciamo, senza il lesbismo di Carol: non solo è fondamentale che Carol sia una donna, ma che ami altre donne, che la sua esperienza su questo pianeta sia imprigionata dalle aspettative della società, che viva un continuo conflitto tra libertà di essere se stessa e il successo.
Pluribus nasce dalla sua tristezza, dalla sua solitudine e tutto quel dolore ha le radici anche nel suo orientamento sessuale e romantico, ora svelato a un mondo che finge di comprendere la sua differenza con la stessa profondità di chi dice di “avere degli amici gay”. Uno dei tropi narrativi più comuni quando si parla di lesbiche è quello della “angry lesbian”, che solitamente ha come unico tratto della personalità l’essere arrabbiata verso il mondo e soprattutto verso il genere maschile, ma quel sentimento rimane sempre superficiale, volto più che altro a eliminare ogni suo sex appeal agli occhi del pubblico etero. La rabbia di Carol è parte fondamentale della sua autonomia, della sua identità e continuare a provarla, anche a costo della vita della popolazione terrestre, significa lottare per cambiare e forse a salvare il mondo dalla sua omologazione sarà proprio una lesbica furiosa o almeno così mi auguro.
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