
The Bear 2 – Stessi ingredienti per una nuova incredibile ricetta
Sono passati una manciata di minuti dall’inizio del primo episodio della seconda stagione di The Bear – la strabiliante e acclamata serie creata da Christopher Storer per FX Productions e disponibile in Italia su Disney+ – quando Carmy (il sempre straordinario Jeremy Allen White) inizia a calcolare grossolanamente i diversi costi che comporterebbe l’apertura di un ristorante, il “The Bear” tanto desiderato insieme al compianto fratello Michael (interpretato nei flashback da Jon Bernthal). Numeri approssimati vengono scribacchiati allora dal giovane chef su un contenitore per il cibo vuoto, spesso corretti e addizionati dalla sorella Natalie (Abby Elliott) e dal resto dello staff del “The Original Beef of Chicagoland”.
Al frenetico scambio manca però lo storico dipendente nonché quasi membro della famiglia Richie (interpretato dal bravissimo Ebon Moss-Bachrach, vera e propria sorpresa di questa nuova stagione) e Carmy, avendo bisogno di una veloce informazione riguardo un preventivo, decide di raggiungerlo al piano di sotto del locale. Una volta ottenuta la cifra il cuoco sta per congedarsi per tornare ai propri conti quando Richie gli domanda a bruciapelo: «Yo, you ever think about purpose?»; «I love you, but I do not have time for this, alright?» è la risposta iniziale di Carmen che, vedendo l’espressione affranta dell’uomo, si corregge prontamente: «I have time for this». Ne consegue una conversazione che contiene in potenza alcuni dei più urgenti quesiti che assillano e accompagnano i personaggi di The Bear come lo scopo della propria vita personale e lavorativa, le abilità individuali e l’appartenenza a quella che si considera la propria famiglia.

Esplicitando un sottotesto già presente nella precedente stagione e intraprendendo un’intelligente svolta corale della narrazione, i dieci nuovi episodi della serie di Storer smettono dunque di focalizzarsi esclusivamente su Carmy e sulle ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare New York alla volta di Chicago, per interrogarsi invece su quanto per ciascuno dei protagonisti possa essere vantaggioso o deleterio accettare le sfide, le problematiche e i sacrifici che la scelta di intraprendere e/o investire su una carriera culinaria e sull’apertura di un locale porta con sé.
Tre sono infatti i nuovi (quasi) impossibili obiettivi di questa stagione – aprire un ristorante di successo entro la rischiosa scadenza di 3 mesi, ottenere una stella Michelin entro l’anno e ripagare entro 18 mesi il debito contratto con lo zio Jimmy (Oliver Platt) a costo di perdere l’intero locale – ed ogni personaggio si ritrova a lavorare duro per raggiungerli: Sydney (la brava Ayo Edebiri) e Carmen sono incaricati di creare un nuovo menù, anche se quest’ultimo deve tentare di coniugare il proprio brillante genio solitario con la nascita di una relazione romantica con una conoscenza del passato, Claire, interpretata da Molly Gordon; a Natalie è affidato il ruolo di project manager mentre all’amico di famiglia Neil Fak (Matty Matheson) quello di tuttofare; Tina (Liza Colón-Zayas) deve tornare a scuola di cucina per ottenere il titolo di sous chef (ruolo assegnatele da Sydney in una commovente evoluzione del loro rapporto) e Marcus (Lionel Boyce) ha l’opportunità di perfezionare le proprie abilità da pasticciere a Copenaghen. Richie ed Ebra (Edwin Lee Gibson), invece, rimangono travolti dai cambiamenti senza capire bene come rendersi utili, ma riescono eventualmente a trovare il proprio posto rimanendo fedeli a loro stessi.

Rifiutandosi di cavalcare l’ondata dello straordinario successo di critica e pubblico e firmando una seconda stagione incredibile, sorprendente e dolceamara, anche Christopher Storer, Joanna Calo (produttrice, sceneggiatrice e regista di alcuni episodi), l’eccellente writers’ room ed il solido cast decidono perciò di adottare una nuova ricetta senza rinunciare alla qualità e all’attenzione che li ha contraddistinti finora. Gli ingredienti alla base rimangono invariati – ambizione, cura, famiglia continuano ad essere alcune delle parole cardine attraverso cui leggere lo show – così come non manca l’ormai inconfondibile morsa ansiogena che caratterizza la serie, scandita dall’onnipresente frase «Every second counts». Eppure, lontano dalla claustrofobica cucina del “The Beef”, con i suoi ordini urlati e i suoi sfiancanti ritmi, il tempo sembra essere spesso meno asfissiante e lo spazio pare finalmente dilatarsi: ad esempio, le odi visive dedicate alla città di Chicago smettono di fungere solo da palate cleanser alle soffocanti ambientazioni interne ospitando ora il viaggio personale di molti dei personaggi o restituendo la frenetica mobilità della metropoli.

Adesso, dunque, l’intensa intimità creatasi dietro ai fornelli tra i membri della brigata – e in un certo senso anche con il pubblico – può essere sfruttata per scavare più a fondo nell’interiorità di ciascuno dei complessi protagonisti, raccontandone il percorso individuale, il rapporto reciproco e le relazioni con il mondo esterno. Il tempo dedicato ad esplorare il mondo là fuori diventa perciò tanto importante quanto quello dedicato al perfezionamento delle proprie doti culinarie: «I think at a certain stage it becomes less about skills and it’s more about being open […] to the world, to yourself, to other people» è infatti l’insegnamento consegnato dallo chef Luca (Will Poulter, uno tra le tante guest star d’eccezione che hanno un cameo nello show) a Marcus nel quarto episodio della stagione.

Parlandoci del cibo e degli infiniti ruoli che occupa nella vita di ciascuno dei suoi protagonisti – il legame con la famiglia e con il posto in cui si vive, la gioia creativa, l’ansia della perfezione, il riscatto dai traumi personali sono alcuni degli esempi più significativi – The Bear finisce allora per parlarci di esseri umani, delle loro molteplici imperfezioni, della loro istintiva e instancabile necessità di superare i propri limiti e le proprie paure ma soprattutto della loro più antica e profonda vocazione: prendersi cura delle persone che hanno intorno e di cui hanno scelto di circondarsi. Il trucco, però, sta nel non dimenticare di prendersi cura anche di sé stessi.
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