
Guerrieri della bellezza – La teoria dell’attore secondo Jan Fabre
Esce finalmente in Italia per la FrancoAngeli Editore, nella collana Drama diretta da Fabrizio Gifuni, Dall’azione alla recitazione. Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo, manuale scritto a quattro mani da Fabre e da Luk Van der Dries che già da diversi anni, nella sua edizione originale From Act to Acting, rappresenta un punto di riferimento per le avanguardie teatrali europee. Classe 1958, di nazionalità belga, Fabre dal finire degli anni Settanta porta avanti un percorso trasversale e multidisciplinare fra teatro, coreografia e arti visive. Suoi spettacoli come This is Theatre Like It Was to Be Expected and Foreseen, The Sound of One Hand Clapping, The End Comes a Little Bit Earlier This Century e Je suis sang hanno segnato la storia degli ultimi quarant’anni di teatro europeo. Recentemente in Italia ha diretto Sonia Bergamasco in un Resurrexit Cassandra particolarmente apprezzato, tratto da un testo di Ruggero Cappuccio; ma a testimonianza dell’eterogeneità del suo percorso artistico lo scorso anno alla Galleria Mucciaccia di Roma è stata allestita anche la mostra Allegory of Love, che rielabora una certa componente tragica e spettrale del teatro di Fabre in sculture in corallo rosso e “disegni di sangue” realizzati dallo stesso Fabre.

Dall’azione alla recitazione prende le mosse dai workshop e dalle continue prove a cui Fabre sottopone i performer dei suoi spettacoli: gli insegnamenti contenuti nel volume sono stati messi assieme da Luk Van den Dries, drammaturgo e studioso dell’Università di Anversa, in stretta collaborazione con lo stesso Fabre e con tre dei suoi più duraturi collaboratori, Annabelle Chambon, Cédric Charron e Ivana Jozic, a loro volta docenti nella scuola di Troubleyn fondata da Fabre. Con accenti diversi, tanto Platone quanto Aristotele avevano individuato nella mimesi il principio dell’arte teatrale per come era praticata nella Grecia classica, e nella tragedia ateniese in modo particolare; in pieno Settecento, in un celebre scritto a due voci l’enciclopedista Denis Diderot aveva sancito il Paradosso dell’attore nella commistione tra imitazione istintiva e studiata costruzione, tra autoconsapevolezza e apparente distacco che ogni interprete deve manifestare sul palco per risultare credibile ad ogni nuova messinscena.
Prendendo le mosse da una disamina storiografica del teatro occidentale e delle sue teorie più celebri, Dall’azione alla recitazione rileva come “Jan Fabre risolve il paradosso di Diderot attraverso una prospettiva molto diversa che è in contrasto con l’approccio realistico del teatro”. Mossi da questa pulsione antimimetica e in fondo antintellettuale, gli esercizi esposti in Dall’azione alla recitazione si riallacciano ad alcuni dei più eclatanti esempi di sovversione novecentesca della pratica teatrale – Artaud, Lecoq, Grotowski, Brook… – illustrando una concezione del teatro come disciplina che trasforma il performer in un “pilastro d’energia” provvisto di una radicale “coscienza anatomica”, e di un’autoconsapevolezza del proprio corpo che sfocia fino all’animalizzazione.

Anche grazie alla presenza di numerose immagini illustrative in cui alcuni dei discepoli più longevi del metodo di Fabre sono immortalati nel mettere in scena i singoli passi, gli esercizi elencati al centro di Dall’azione alla recitazione alludono infatti spesso alla dimensione animale se non addirittura oggettuale, in un attraversamento delle frontiere biologiche percepibile sin dai nomi delle singole pratiche: feto/stella, il gatto, la tigre, disegnare lo spazio, diventa ciò che mangi, addirittura “l’animale che muore” o “l’arte di uccidere/l’arte di morire” sono alcuni dei titoli che Fabre e i suoi collaboratori hanno dato agli esercizi proposti nella sua scuola e nei suoi workshop di recitazione, indice di una concezione dell’arte performativa estremamente ibrida e decisamente radicale.
Lo spazio immaginato per il teatro di Fabre non è, senza dubbio, un ambiente innocuo. “Una volta che il performer appare in questo spazio viene creata una forma di biologia e di guerra. Il performer si approva del territorio come farebbe un animale: istintivamente”, si legge a un certo punto del volume. “Allo stesso tempo, occupare lo spazio è anche una forma per muovere la guerra. Da quale parte può arrivare il pericolo? Dove posso nascondermi? Chi è più forte e più debole? Chi è il predatore e chi la preda? In molti esercizi Fabre metterà in risalto questo lato pericoloso del territorio: un territorio è spesso minacciato e deve essere difeso”.

La metamorfosi è la dimensione in cui vengono calati i performer che seguono il metodo di Fabre, in questa commistione tra gli insegnamenti del teatro del Novecento e profondi echi orientali, quasi yogici, tracciata dalle pagine di Dall’azione alla recitazione. Fabre, più volte accostato dalla critica, per l’eterogeneità dei suoi interessi e la molteplicità dei linguaggi artistici a cui si riallaccia, all’ideale di uomo e umanista rinascimentale, non ha mai nascosto la sua passione per l’alchimia e il suo immaginario, e anche nelle sue “linee guida per il performer del XXI secolo” si scorge un’eco di questo solve et coagula. “La sostanza cambia, diventando qualcos’altro. Qualcosa in cui si riconosce ancora la forma umana, ma che allo stesso tempo ha negato la sua funzionalità umana per fondersi con una nuova entità. Non puoi chiamarla identità, è semplicemente ‘qualcosa’. Sul palco, davanti agli occhi del pubblico, il corpo del performer si è transustanziato in qualcos’altro. Questa è la vera essenza del teatro di Fabre: diventare qualcos’altro” – niente di più, e niente di meno, che come in una liturgia. Gli echi classici e nietzschiani che Fabre non ha mai nascosto esser parte della sua ispirazione si armonizzano pienamente più cristiano-gnostica, in una concezione generale dell’arte del teatro che davvero sintetizza alcune delle correnti fondamentali della cultura occidentale degli ultimi tre millenni.
“Guerrieri della bellezza”: così Fabre definiva i suoi performer già in uno dei suoi primi testi, il Giornale notturno che raccoglieva sue annotazioni e suggestioni concepite tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta. Molto più di un libro-intervista o di un saggio critico, Dall’azione alla recitazione permette di entrare in maniera completa nella componente laboratoriale dell’esperienza teatrale di Fabre, non meno che nei suoi orizzonti concettuali.

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