
Di anno in anno Zero – I 75 di Germania anno zero
Un racconto breve di Wolfgang Borchert, intitolato Il pane, racconta di una moglie tedesca che, nell’immediato dopoguerra, per porre fine alla fame notturna del marito, rinuncia a una fetta del suo pane accampando la scusa di trovarlo indigesto. Edmund e la sua famiglia in Germania anno zero non possono neppure concedersi questo lusso, anzi i grandi (padre infermo, e fratello) manifestano anche un certo egoismo nei momenti più bui della loro ardua sopravvivenza.
Berlino 1946, la città è ancora un cumulo di macerie, il dodicenne Edmund Koehler vaga tra le macerie alla ricerca di lavoretti ed espedienti che gli consentano di aiutare la propria famiglia composta da un padre gravemente malato, una sorella, Eva, che esce con gli alleati per ottenere qualche sigaretta, e il fratello Karl Heinz, ex soldato senza documenti che vive nascosto in clandestinità per la paura di finire in campo di concentramento. Lo stato di miseria e disperazione, in cui giorno dopo giorno la famiglia Koehler piomba, porta il ragazzino a compiere l’estremo atto di parricidio senza tener conto del senso di colpa.

Il film di Roberto Rossellini è l’espressione di un neorealismo che amplia lo sguardo e valica i confini nazionali per raccontare come si vive la ricostruzione dove la guerra è stata più feroce. Una voce off, subito dopo un cartello introduttivo, specifica come il film sia un quadro obiettivo e fedele della città distrutta in cui i tedeschi, non da demonizzare e neppure da celebrare, vivano nella tragedia come loro elemento naturale. Un didascalismo necessario nel 1947 che denota, però, d’altra parte, una grande apertura al confronto e alla comprensione nel mostrare un’umanità ovunque vittima della brutalità di ideologie folli e devastanti. La voce off chiede allo spettatore di essere clemente, e di comprendere il giovane Edmund, che diventa dunque emblema di un’inquietudine e di una ingenuità comune ad un intero popolo. Tra le macerie, i vagabondi, i ladri, gli sciacalli non vi sono più punti di riferimento. Non c’è un nuovo Stato, non c’è un vero aiuto da parte degli alleati. Edmund, nella sua ricerca di lavoro e di punti di riferimento, incontra il suo maestro elementare e di lui si fida, tanto da dar retta ai suoi ragionamenti sconclusionati e immorali che consigliano di liberarsi delle zavorre per sopravvivere senza eccedere con i sentimentalismi. Chi dovrebbe essere una guida, un pilastro della crescita per un ragazzino, schiacciato dal peso di un’età adulta che le circostanze e l’egoismo familiare hanno obbligato a varcare, è in realtà il mostruoso artefice di una barbara tragedia, insostenibile e fatale.

Rossellini alterna panoramiche desolanti a primi piani carichi di dramma, sfruttando la verità scritta sui volti e negli occhi dei suoi attori non professionisti. Alterna alla claustrofobia di appartamenti affollati all’inverosimile, all’incombente gravità di ruderi fatiscenti che, con il peso della loro Storia osservano e giudicano “poveri cristi” che tra essi si aggirano senza troppe speranze a cui appigliarsi. Non ci sono più distinzioni tra le strade: gli ex nazisti si mescolano agli oppositori politici: per quanto resti l’amaro in bocca di una morte ideologica, nessuno ha il coraggio di lamentarsi apertamente, di recriminare o di puntare il dito. Smagriti e vestiti di stracci, i berlinesi si trovano a dover azzerare la loro storia e le loro coscienze, per ripartire con disagi che sembrano e – uscendo da una guerra che ha colpito in primo luogo i civili – sono insostenibili. Eppure, l’equità non è prevista: si sgomita e si imbroglia per potersi accaparrare una patata di più o un pizzico di tè. Dunque, come chiede Rossellini, è davvero lo spettatore a dover guardare imparzialmente ma umanamente la catastrofe deturpante di una ferita ancora lontana dal suo risanamento. Usa un bambino, che “non ci guarda” solamente, ma con insistenza chiede il nostro aiuto, dritto in macchina. Edmund non salva le sorti della sua famiglia, nonostante l’abbia pensato e desiderato con forza, e non salva nemmeno se stesso; diventa ultima vittima di una carneficina che non concede sconti all’età o all’esperienza. Ciò che appariva liberatorio, perde ogni forma di positività nel momento in cui genera ulteriore sofferenza, per trasformarsi in atrocità. In una società priva di giustizia, è il piccolo Edmund a ricrearla brutalmente senza mezze misure.

A settantacinque anni dall’uscita di Germania anno zero, ciò che colpisce è l’attualità dell’opera che, se trasposta in chiave contemporanea, ricalca perfettamente situazioni e dinamiche di realtà nate e cullate in seno di paesi che si definiscono democratici. Di anni zero ne esistono a conclusione di ogni guerra, scontro, migrazione, sbarco e le risposte delle istituzioni restano sempre vaghe e insufficienti con qualcuno che guarda dritto in macchina e chiede un aiuto che si spera non essere destinato a cadere nel vuoto. Un corpo su cui piangere le proprie ultime lacrime, come si presume faccia Eva alla comparsa della parola fine, è l’amara constatazione di non aver fatto abbastanza per chi meritava un futuro che poteva essere quello di ognuno di noi, spettatori inermi.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista