
Il grande Lebowski – C’è della virtù nell’autentica mediocrità? Una riflessione sui protagonisti
Il grande Lebowski diretto da Joel ed Ethan Coen festeggia i suoi venticinque anni. Un film apparentemente sconclusionato, che gioca con i meccanismi del racconto noir in modo originale e consapevole, capace di dividere critica e pubblico in due fazioni al momento della sua uscita; nessuna via di mezzo, indifferenza o esaltazione.
Se si provasse a rispondere in modo schietto al perché siamo davanti a un film di culto, si potrebbe per un momento adottare il tono del narratore cowboy che presenta le vicende, interpretato da Sam Elliott, dicendo qualcosa del genere: “Cosa volete che ne sappia?! È la dannata commedia umana”. Tuttavia, se si azzardasse una risposta più ragionata, si potrebbe semplicemente riflettere sul fulcro del film, ossia la forza espressiva dei personaggi, in particolare Drugo, interpretato da Jeff Bridges, e Walter, interpretato da John Goodman.

Questo il La della vicenda: Jeffrey Lebowski, detto Drugo, un hippie di mezza età, viene convinto da Walter, suo migliore amico e grottesco veterano della guerra del Vietnam, a cercare il suo omonimo per farsi risarcire del danno al suo tappeto, causato (urinandoci sopra) da dei criminali che avevano trovato il Jeffrey Lebowski sbagliato.
Chi sono Drugo e Walter?
Drugo, in passato tecnico del suono per i Metallica, non paga regolarmente l’affitto, ma con Walter forma un’ottima coppia al bowling. Non definisce sé stesso con una professione, anche perché non ne ha una, né con l’ostentazione di chissà quale traguardo raggiunto, anzi sembra sinceramente disinteressato a voler assumere l’identità di un vincente, o di una persona regolare.
Gli piace indossare vestiti che potrebbero essere pigiami, farsi di allucinogeni, bere spesso white russian, indossare gli occhiali da sole. In sostanza un personaggio cartoonesco, strafottente nei confronti dell’autorità e di chiunque voglia fargli la morale. Ama dire parolacce. Tuttavia, Drugo ha una certa luce intorno a sé, un’aura di spensieratezza che contagia in modo naturale chi lo circonda; tant’è vero che l’intrigante, eccentrica, Maude Lebowski, interpretata da Julianne Moore, sceglie proprio lui come “compagno di procreazione”.
Walter è un veterano della guerra del Vietnam, non può fare a meno di farne riferimento come monito quando le cose sfuggono al suo controllo, facendo sempre la stessa premessa: “Stai per entrare in una valle di lacrime…”. È un irascibile divorziato di mezza età, convertito all’ebraismo durante il matrimonio, fede che sostiene di continuare a professare, ma a modo suo, praticamente a caso.
Ha un’ossessione per le regole del gioco, per esempio arriva a minacciare con una pistola un altro hippie, reo secondo lui di aver barato al bowling. Contrariamente al suo partner, è respingente, la gente tende per lo più ad evitarlo. Il suo vuoto esistenziale è dato dal non superamento del divorzio, nonostante siano passati cinque anni: quando la sua ex va in vacanza col compagno, Walter le tiene il cane.

Per Drugo e Walter voler approfondire il senso dello scambio d’identità, più che avere un nuovo tappeto, potrebbe essere la vera ragione del saltare dentro a questo strano treno. In fondo, sono annoiati dalle loro vite.
Il grande Lebowski riprende la struttura del noir, in cui un cliente dell’alta società affida un compito di vitale importanza, riguardante quasi sempre la moglie, a un investigatore privato squattrinato, ma dallo svolgimento della vicenda è lampante come ne costituisca parodia. Drugo non è un investigatore, si improvviserà tale quando dovrà lottare per sopravvivere; il suo coinvolgimento avviene per opera del suo omonimo, Jeffrey Lebowski, al quale viene chiesto un riscatto per la vita della moglie Bunny.
Viene ingaggiato solo per effettuare lo scambio. L’inadeguatezza di Drugo, e quella del suo alleato non richiesto, Walter, rende ancora più intricati i fili di questo strano caso. O meglio, il pasticciaccio, probabilmente, non avrebbe nemmeno assunto grosse dimensioni se ad affrontarlo ci fosse stato un detective preparato. È l’assoluta stravaganza e dissociazione dalla realtà di Drugo e Walter che di fatto pasticcia gli accadimenti al punto da renderli intricati.
Alla fine si scoprirà che in realtà il signor Lebowski spera nell’eliminazione di Bunny, e che non si tratta nemmeno di un vero rapimento, ma di un piano ideato da Bunny e dalla sua gang di “Nichilisti” per fare un po’ di soldi. Tuttavia, è proprio l’impreparazione, l’incoscienza di non sapere mai in cosa si stia cacciando, che conduce Drugo a trovare, certo un po’ fortunatamente, il bandolo della matassa.

Drugo sente la vita, la attira a sé e ne è attratto, è baciato da una sorta di improbabile sesto senso che in qualche modo lo salva all’ultimo momento, anche se nel percorso può capitare che qualcuno ci rimetta la vita, come nel caso del personaggio di Donny, interpretato da Steve Buscemi.
L’efficacia della coppia protagonista, dunque, sta nella capacità comica, costruita sugli opposti: uno è un pacifista, l’altro ha il culto della guerra, uno vive tutto sommato bene la propria condizione di uomo single, l’altro no; entrambi, come già detto, sono inadatti all’incarico di investigatori, ma in qualche modo si ritrovano a rivestirlo.
Il personaggio dell’altro Jeffrey Lebowski, il filantropo, pone una domanda interessante, per cercare di desumere una piccola, banale riflessione morale di questi avvenimenti: chi dei due è il grande Lebowski?

Mr. Lebowski è un presunto filantropo, fondatore di opere benefiche per finanziare gli studi dei ragazzi intelligenti dei quartieri difficili, imprenditore, frequentatore della classe politica più influente del paese, nelle fattezze potrebbe quasi ricordare il Charles Foster Kane di Welles (qui un contributo sul capolavoro del regista americano), con una disabilità che lo costringe sulla sedia a rotelle. Alle sue dipendenze ha un assistente che lo venera, una moglie più giovane di sua figlia, non autosufficiente e dedita alla pornografia.
Attacca Drugo sul suo vestire, sulla sua aria un po’ tonta e non pragmatica nell’affrontare qualsiasi questione, sul suo essere disoccupato, pacifista e sul fatto che chieda il risarcimento per il tappeto, ritenendolo dunque un parassita, la parte sbagliata della società. I due Lebowski sono esattamente l’opposto l’uno dell’altro. Eppure, Drugo verrà a sapere da Maude Lebowski, figlia del filantropo, della non florea situazione finanziaria del padre: l’uomo infatti non gestisce alcun business, né benefico né di altra natura, tira avanti grazie a una generosa rendita concessa da Maude, l’unica depositaria delle fortune e degli affari di famiglia. Dunque, nonostante il signor Lebowski si senta migliore di Drugo, tutto sommato è modesto almeno quanto lui.

In questa constatazione si intravede una parte della poetica dei fratelli Coen: la critica al bigottismo, alla mediocrità del pensiero comune, particolarmente visibile in questo film, in quanto nessuno dei suoi strambi personaggi lo incarna se non proprio il filantropo Lebowski. L’opera sembra suggerire, anzi, che una sfocata forma di virtù possa essere presente nelle persone semplici, genuine, consapevoli della loro assoluta non specialità.
Nel film dei Coen chi incarna dunque la virtù? Drugo e Walter? Insomma… A loro volta, pensano continuamente a come fregare il Signor Lebowski, senza contare che a muoverli come prima motivazione è il risarcimento del tappeto, non esattamente uno scopo “alto”. L’unico personaggio candido, sincero della pellicola potrebbe essere visto in Donny. Quindi, i due protagonisti escono sconfitti tre volte: non avranno i soldi per la consegna del riscatto di Bunny, perderanno un amico – Donny appunto, e non avranno né il risarcimento, né uno nuovo tappeto.
È una poetica della sconfitta quella dei fratelli registi; ciò che ha reso questa pellicola un cult potrebbe risiedere nel nonsense di fondo espresso attraverso i due protagonisti: una sfida per salvare la vita di qualcuno che si pasticcia e ripasticcia a causa del loro caos mentale, chiusa con la consapevolezza di essere stati fregati dalla vittima del rapimento e per di più, come se non fossero stati beffati abbastanza, si aggiunge la morte del loro migliore amico. Una visione tragicomica della vita in cui forse parte del pubblico negli ultimi venticinque anni ha visto il proprio riflesso.
L’ultima domanda aperta: chi dei due è il grande Lebowski, allora? Entrambi sono uomini non riusciti. La differenza principale sta nel fatto che Drugo ne è consapevole e l’ha anche accettato. Forse potremmo vedere Il grande Lebowski non come una persona definita, realizzata, in pace con sé stessa e col mondo, ma come un sé potenziale, l’immagine modello di noi esseri umani, dalla quale siamo così lontani, e alla quale possiamo giusto scegliere se tentare di avvicinarci o meno.
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