
Reboot – Meta-commento della comicità seriale
«But are people still doing reboots?» è la domanda posta dall’executive di Hulu ai suoi collaboratori nel cold open del primo episodio di Reboot, la divertente serie creata da Steven Levitan per Hulu stesso e disponibile in Italia su Disney+, a seguito della proposta avanzata da Hannah (Rachel Bloom), giovane scrittrice edgy e queer di riportare sul piccolo schermo Step Right Up, una (finzionale) sit-com dei primi anni Duemila conclusasi tempo prima. La lista di esempi che gli viene fornita come risposta è lunghissima – «Fuller House, Saved by the Bell, ICarly, Gilmore Girls, Gossip Girl…» – perciò l’uomo decide di approvare il progetto con un sonoro «Let’s remake something original».
Il passo successivo è coinvolgere il cast originale, un’impresa che si rivela essere estremamente facile viste le condizioni in cui riversano le vite degli ex protagonisti: Reed (Keegan-Michael Key), le cui aspirazioni sono state la causa della conclusione della sitcom anni prima non è riuscito a far decollare la sua carriera nonostante i vari tentativi, Bree (Judy Greer) si ritrova senza soldi e con il cuore spezzato a causa di un brutto divorzio dopo essere stata duchessa di un piccolo Paese nordico, Clay (Johnny Knoxville) ha numerosi problemi con la giustizia e si è ridotto a portare avanti un’offensiva routine di stand-up comedy mentre Zack (Calum Worthy) – come qualsiasi child actor che si rispetti – ha costruito il suo successo attraverso numerosi teen movie salvo essere ora un po’ troppo cresciuto per continuare a interpretare un teenager. Riunito il cast, il ruolo di showrunner viene assunto da Hannah ma la situazione si complica nel momento in cui Gordon (Paul Reiser), suo padre nonché creatore della serie originale, decide di affiancarla a capo del progetto.

Grazie a dinamiche assurde quanto esilaranti e ad un solido cast, Levitan riesce così, nel corso degli otto episodi dello show, a portare avanti una stratificata molteplicità di discorsi: al meta-commento sull’attuale panorama seriale e sull’evoluzione della comicità vengono affiancate le classiche dinamiche della working comedy oltre che della sit-com familiare (non ci si poteva certo aspettare di meno da uno dei creatori di Modern Family, una delle più popolari e riuscite serie degli ultimi decenni dedicata alla famiglia).
Per i protagonisti della serie allora prendere parte al reboot significa innanzitutto dover rimettersi in gioco affrontando delle inedite e importanti sfide. Gordon sembra voler timidamente ricucire il rapporto con la figlia (come lui stesso le dirà in un commovente momento della serie «Characters can’t change that much in one episode») mentre Hannah ha finalmente la chance di raccontare la sua versione della storia sul piccolo schermo (Step Right Up era infatti ispirato alla nuova vita familiare che Gordon aveva creato per sé senza di lei); Bree vorrebbe reinventare sé stessa in un ambiente competitivo e ageista mentre Clay sta tentando di allontanarsi dalla bad persona che ha costruito nel tempo, lavorando innanzitutto sulla sua sobrietà; Reed deve necessariamente venire a patti con il suo passato mentre Zack deve pensare al suo futuro, diventando adulto. A completare il quadro vi è poi l’immancabile trope del will-they-won’t-they tra Reed e Bree che hanno condiviso una burrascosa relazione romantica durante la messa in onda originale della sit-com e che sembrano avere tuttora delle questioni sentimentali irrisolte.

Reboot racconta dunque al pubblico un peculiare ambiente lavorativo mettendo in scena la realizzazione, settimana dopo settimana, dell’episodio di una situation comedy multicamera: dai table-read alle prove, dalle riscritture alla writers’ room, per finire con la registrazione live di fronte al pubblico in studio. Le numerose battute sul mondo dello spettacolo e i continui riferimenti alla cultura seriale (ogni episodio, ad esempio, prende il nome di una serie) offrono inoltre una lettura ironica – e spesso più che veritiera – dello scenario contemporaneo (l’unica pecca sembra essere la satira alle volte un po’ troppo smussata).
Nello show, d’altronde, grande spazio è dato alla riflessione circa l’evoluzione della serialità e della comicità. In Reboot e nel reboot, infatti, coesistono due tipi di fare televisione molto differenti: da un lato vi sono le classiche gag fisiche e self-deprecating utilizzate da Gordon nella serie originale, dall’altro vi è invece la comicità più contemporanea di Hannah contaminata con il drama e corredata da un commento sociale («It is both the funniest thing you’ve ever read and you won’t laugh once» è il modo in cui Reed definisce il nuovo script di Hannah).

Come già in altre serie che riflettono sulla comicità – prima fra tutte Hacks che condivide tra l’altro con Reboot anche l’importanza dell’incontro/scontro generazionale – anche nello show di Levitan le battute più divertenti e le dinamiche più interessanti nascono nel processo di scrittura comica, in questa improbabile writers’ room finzionale in cui il team di writers veterani di Gordon e il gruppo intersezionale di Hannah si ritrovano a dissentire e collaborare. Come in Modern Family, anche qui il confronto tra persone di età diversa finisce per sfociare in compromessi stravaganti ma spiritosi attraverso una goofiness condivisa da entrambe le serie (nelle interazioni con Hannah e non solo, il personaggio di Gordon non a caso ricorda Jay Prichett, interpretato da Ed O’Neill, un altro patriarca imperfetto ma dal cuore d’oro).
Reboot è dunque una serie leggera, intelligente, che intrattiene e che conquista il pubblico visto che, con grande lucidità e fin dalle sue premesse, ironizza ma comprende quanto sia importante per noi spettatori che determinate storie non smettano mai di essere raccontate e quanto sia profondo il bisogno che queste ci accompagnino – seppur in maniera diversa – nelle varie tappe del percorso di vita. D’altronde, la serialità non ha mai veramente nascosto di aver costruito il suo successo su alcune formule ripetute all’infinito, guardando prodotti come Reboot non è difficile capire come ci sia riuscita.
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