
«La musica è salvezza» – Intervista a Stephen Kijak
«La musica è salvezza, non potrei vivere senza». Stephen Kijak è un nome che in Italia non ha grandissima risonanza, ma con alle spalle una notevole esperienza da regista. Nella sua filmografia può vantare interessanti documentari musicali tra cui spiccano Scott Walker: 30 Century Man (2006), prodotto da David Bowie, e Stones in Exile (2010), dedicato ai sei mesi di fuga dei Rolling Stones in Costa Azzurra nel 1972 e presentato al Festival di Cannes. Suo anche il delicato Sid & Judy (2019), sulla vita di Judy Garland.
L’ottava edizione del Seeyousound International Music Film Festival di Torino gli ha dedicato un omaggio, con tanto di prima monografia in lingua italiana. Ma soprattutto è stata l’occasione per vedere l’ultimo, questa volta un film di finzione, Shoplifters of the World. Prima opera cinematografica ad aver ottenuto la licenza per l’utilizzo delle canzoni dei The Smiths, mostra la folle notte di quattro amici a Denver nel 1988 mentre un quinto entra armato in una stazione radio per omaggiare la band prima che si sciolga. Incontriamo l’autore e veniamo a sapere che l’idea risale all’inizio del decennio scorso.

Perché ci sono voluti undici anni per portare a termine questo progetto?
Penso che molti film indipendenti richiedano tempo. Non è stato realizzato da un grande studio hollywoodiano, era legato ad una storia molto specifica e all’utilizzo di ben venti canzoni dei The Smiths, una delle band più iconiche degli anni Ottanta. Ottenere la licenza per brani così famosi è molto costoso e, solo per le musiche, ci serviva un budget dieci volte superiore a quello di film di questa dimensione. Devi capire come trovare quei soldi e ciò rende l’economia dell’intero progetto molto complicata, allunga i tempi. Per i primi cinque anni ero praticamente da solo, alla ricerca dei giusti produttori, persone che mi avrebbero davvero supportato e con le quali avrei potuto lavorare serenamente. Inoltre, ci sono così tanti drammi dietro le scene del film… Ho dovuto lottare quasi tre anni per i diritti di cose che avevo scritto e che mi erano state rubate. Nel frattempo, ho fatto tre diversi casting per gli attori: tre diverse versioni del gruppo di protagonisti. Penso sia una storia comune a molte piccole produzioni, fatte completamente fuori dal sistema.
Bisogna riconoscere che i The Smiths fanno musica molto cinematografica. Sei d’accordo?
Assolutamente sì. Sono stati molto influenzati dal cinema britannico degli anni Sessanta. E poi c’è così tanta televisione classica britannica nella costruzione della loro immagine. Non solo per come si vestono, ma tutta la componente scenografica è legata a fotografia e cinema di quell’epoca. Insomma, queste influenze alimentano il loro lavoro. Ho intervistato il chitarrista Johnny Marr per il documentario che ho dedicato a Scott Walker qualche anno prima e lui mi disse che i fratelli Walker e il malinconico pop orchestrale degli anni Sessanta furono di enorme ispirazione per il suo stile. Questi elementi si ritrovano dentro la loro musica, portando a canzoni molto visive.

Il film è composto da quattro capitoli che hai chiamato “lati”, come quelli di un disco.
È buffo perché non l’avevo pianificato fino all’ultimo momento. Accadde che uno dei produttori disse “Sarebbe magnifico se ci fossero dei capitoli, ciascuno col suo titolo”. Può capitare, quando hai molti produttori, che questi si sentano un po’ artisti. Pensano di sapere cosa non funziona nel tuo film e di sapere come aggiustarlo. Così risposi: “D’accordo, volete i titoli? Vi darò i titoli”. E decisi di dividere la storia in quattro parti perché i miei album preferiti sono in doppio disco, quindi hanno complessivamente quattro lati. Scelsi frasi che spiegavano cosa stata succedendo nella storia, quasi delle didascalie, e fu davvero semplice. Alla fine mi resi conto che mi piaceva il risultato e che loro avevano avuto una bella idea. Hanno aiutato molto. In fondo, è solo uno degli elementi che compongono il progetto. Potremmo definire il film quasi un oggetto feticistico: ogni piccolo dettaglio riguarda il mondo dei The Smiths.
In effetti il contesto storico è accennato ma non così presente. Sembra di assistere a un sogno.
Certo, anche perché è basato su un mito. La storia del ragazzo che prende in ostaggio il DJ alla stazione radio non è del tutto vera. In realtà, quel ragazzo era intenzionato a fare questa cosa, non andò fino in fondo ma venne arrestato lo stesso. È una storia divertente. Si ritrovò in auto con una pistola e una scatola piena di musicassette e chiamò la polizia per costituirsi prima di aver commesso il crimine. Per me questa premessa suonava come una canzone dei The Smiths. L’aneddoto acquistò una proporzione mitologica e la gente pensò che fosse accaduto realmente. Così mi sono detto: “Immaginiamo che sia accaduto veramente”. È un’adorabile notte nella vita di questi ragazzi ed è realizzata con un’enorme dose di nostalgia, una lunga occhiata al passato. Avendo usato la mia memoria musicale per metterlo in scena, posso confermare la dimensione del sogno.

Altrove hai affermato che Patrick è la tua versione teenager. C’è qualcosa di te anche negli altri?
Sono tutte parti di me o di amici con cui sono cresciuto, disperse lungo tutta la durata di Shoplifters of the World. Quando ero al liceo ho lavorato in un negozio di dischi come quello. Due personaggi principali sono basati sui miei migliori amici del periodo. Lo stile e i riferimenti provengono dalla mia giovinezza, ma si tratta di cose che ho condiviso con altre persone quindi penso che molti possano riconoscervisi. Sarebbe molto gratificante.
Tutt’oggi, come quando eri giovane, pensi che la musica possa aiutare le persone?
La musica è salvezza, non potrei vivere senza. Faccio sempre ritorno alla musica degli anni Ottanta che amo ed è sempre con me, ma sono affamato e amo anche scoprire quella nuova. Continuo ad ascoltare molto la radio. Ho bisogno di assorbire nuovi suoni perché la musica è semplicemente il suono della vita. Ti collega alla realtà. Voglio sapere cosa succede nel mondo in questo preciso momento o cosa sta per succedere. In particolare negli Stati Uniti, molti sono bloccati nella loro nostalgia, bloccati negli anni ottanta, ascoltando a ripetizione un’unica stazione radio o persino una canzone, ancora e ancora. È una forma di feticismo che considero un tantino noiosa, anche se ironicamente ho fatto un film di questo tipo.
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