
Giorgio Caproni – Il documentario da vedere a centodieci anni dalla nascita
“Sono nato in questa città cinquantatré anni fa, il 7 gennaio 1912, precisamente dietro a quelle case, in corso Amedeo. Potrei dire che per me Livorno è l’infanzia, Livorno è la madre, Livorno son le prime esperienze.”
Così Giorgio Caproni esordisce nel filmato di repertorio che apre Giorgio Caproni – Il Seme del piangere, un documentario di Gabriella Sica – disponibile su RaiPlay – che, attraverso la giustapposizione di immagini d’archivio, video-interviste, testi letti dallo stesso autore e in sovrimpressione, cerca di restituire insieme la vita, la poetica e una panoramica sul corpus letterario di Giorgio Caproni. Il documentario si inserisce in “Poeti del ‘900”, una serie di mediometraggi dedicati alle figure italiane che hanno cambiato le sorti della Letteratura del nostro Paese: tra i più significativi segnaliamo anche gli episodi dedicati a Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e Pier Paolo Pasolini.

Anna Picchi, la madre che tormenta l’immaginario dell’autore, coincide con l’idea della natìa Livorno lasciata in età infantile alla volta di Genova, identificata come la città della maturità e della formazione, fino a far ammettere all’autore: “Io sono fatto di Genova”. Poi gli anni della musica, la composizione, iniziare a fare versi leggendo il Tasso; infine scrivere i propri da accompagnare alle melodie. La descrive come una storia curiosa quella dell’incontro con la poesia, l’abbandono progressivo della musica in favore della parola. Ma come fare un documentario su Caproni e ragionare in chiave visiva se tanto valore il poeta dava alla parola? Quanto è complesso connotare e insieme raccontare, descrivere, utilizzando il linguaggio del cinema?
La base è sempre il montaggio: creare senso attraverso la giustapposizione di una serie di immagini sconnesse tra loro. Un montaggio questo che avviene non tanto in postproduzione ma in scena effettivamente: Caproni, seduto davanti a un telo bianco, legge le sue poesie da “Il passaggio d’Enea” mentre sullo sfondo, su quel telo, vengono proiettate immagini di soldati, di civili, di bombardamenti della seconda guerra mondiale. E allora lì certo acquisisce senso la lettura dei versi dei Lamenti. Si crea un contesto audiovisivo in cui ogni elemento partecipa attivamente all’amplificazione dell’esperienza biografica e letteraria dell’autore.

“Io come sono solo sulla terracoi miei errori, i miei figli, l’infinito
caos dei nomi ormai vacui e la guerra
penetrata nell’ossa”
Caproni fu anche legato al teatro: oltre alle traduzioni letterarie dal francese, tra cui Céline e Char, si dedicò poi a tutto il teatro di Jean Genet, un teatro oscuro e insieme sacralizzato nel gesto, complessissimo dal punto di vista estetico e simbolico, che valse a Genet la stima dei maggiori intellettuali del Novecento. Proprio alle traduzioni di Caproni si deve la conoscenza di questo autore in Italia, in un contesto ancora difficile per l’ingresso della letteratura e del teatro stranieri nel Paese.
Per quanto riguarda il cinema invece, l’autore fu particolarmente legato a Pasolini, con cui strinse una profonda amicizia che i due coltivarono per decenni. Un sodalizio certamente letterario e poetico in primis, ma che incluse Caproni anche nelle produzioni filmiche del Pasolini già affermato: fu appunto il poeta a doppiare Giorgio Cataldi (attore non professionista) nel personaggio del monsignore in Salò o le 120 giornate di Sodoma (qui sotto per vedere una parte del doppiaggio di Caproni).
Caproni, se pure non si possa definire un autore poliedrico come Pasolini, in realtà nelle linee della sua biografia ci permette di leggere un profondo amore verso tutte le arti. La sua è addirittura una poesia capace di essere estremamente visiva in determinati punti. Forse per questo, in lettura da Le stanze della funicolare, la regia mette a fuoco dietro di lui immagini di una vera funicolare che risale il binario. Incredibile come l’immagine di una funicolare rappresenti il grembo materno, e l’uomo che esce dal tunnel è l’uomo che si sgancia dalla madre, inizia da solo la vita, il suo perdersi. Un perdersi nella vita che ritorna anche nel testo Il Vetrone:
«Babbo,
tutti non facciamo altro
– tutti – che .»
Clicca qui per vedere il documentario Giorgio Caproni: il seme del piangere
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