
Regalità sullo schermo – Due regine per il compleanno di Helen Mirren
Una brillante carriera, numerosi premi a riprova di ciò. Le parole intorno al magistrale estro artistico di Helen Mirren si sprecano. A breve distanza dal suo compleanno (75 anni compiuti il 26 luglio scorso) vogliamo omaggiare l’attrice britannica ricordando due sue interpretazioni, due regine, due volti della regalità particolarmente esemplificativi della sua abilità recitativa: la regina Elisabetta II nel film The Queen – La regina (che le è valso l’Oscar alla miglior attrice protagonista) e Caterina II di Russia nella miniserie Caterina la Grande.
The Queen – La regina (2006) racconta dei turbolenti giorni dopo la morte della Principessa Diana, facendo entrare lo spettatore nella vita della famiglia reale, trincerata nel suo silenzio dopo il tragico avvenimento. La pellicola non tenta un’accurata ricostruzione storica, quanto piuttosto di mettere in luce il mondo interiore delle figure della corte, il cui reale sentire deve conformarsi ad una rigida serie di norme, un protocollo stringente. Punto di vista privilegiato è quello della protagonista dell’opera, Elisabetta II, di cui Hellen Mirren è riuscita ad incarnare il dissidio interiore. La regina non può abbandonarsi ad un pianto liberatorio («[…] è morta la madre dei miei nipoti» afferma la sovrana) e i vincoli cui il suo ruolo la obbliga sono sottolineati costantemente dalla Regina Madre (Sylvia Syms). L’unico momento in cui la sovrana può mettere in scena quello che sente è nella solitudine di uno scenario campestre: trovatasi sola in aperta campagna mentre si svolge una battuta di caccia, nota un cervo (riferimento al potere regale, alla figura del padre morto troppo presto e/o forse anche concettoso e ardito rimando a Diana, il cui nome rimanda alla nota dea romana che aveva tra i suoi simbolo il cervo); ne commenta la bellezza, la fierezza, lo sprona a fuggire (verrà poi ucciso dai membri della famiglia reale), per abbandonarsi ad un sommesso pianto. L’Elisabetta II della Mirren è anche la regina che deve ricostruire un rapporto con il suo popolo, rapporto incrinatosi a causa del silenzio che avvolge la casa reale e che i sudditi non comprendono e non gradiscono. Il personaggio deve, in virtù del suo ruolo, tenere sempre a mente un’opprimente conformarsi dei propri sentimenti intimi a quello che il suo ruolo politico impone: non vi è spazio né per il pianto né per la fragilità (durante il discorso alla nazione la sovrana non perde la sua algida statura).
La Mirren restituisce questo composito mondo emotivo in una recitazione misurata, dove ogni gesto appare controllato, forzato da qualcosa di esteriore che impone un comportamento preciso; solo nell’idillio bucolico che è la campagna inglese le sovrastrutture cedono è il reale mondo emotivo emerge. Il contenimento che caratterizza il personaggio di Elisabetta II viene poi evidenziato da inquadrature che rendono in determinati momenti ancor più piccina la figura della sovrana, quasi a marcare un’opposizione tra la regalità attributo del suo ruolo e il suo umano sentire interiore.
Su un versante completamente opposto (o quasi) si colloca Caterina II in Caterina la Grande (2019). La sovrana di Russia non ha quella delicatezza contenuta che è propria di Elisabetta, il suo mondo interiore vive di emozioni diverse perché diverso è il momento storico che la vede regnare e diverso è il ruolo che la sovrana deve svolgere in un complesso e intricato gioco politico. Caterina deve difendere il suo ruolo di donna sovrana, di donna al comando di un vastissimo regno, di donna la quale deve contrapporsi ad mondo maschile che non gradisce la sua presenza. L’unica misura narrativa che può caratterizzare questo personaggio interpretato dalla Mirren è il primo piano, un primo piano spesso estremamente ravvicinato che pone dinnanzi lo spettatore uno sguardo fermo, metallico, algido. Spesso le scene che vedono la presenza della sovrana si strutturano attraverso una costruzione prospettica “di sotto in su”, volta a marcare in maniera anche didascalica una posizione di superiorità che è tanto politica (ella è la sovrana) quanto umana, poiché il personaggio di Caterina spesso vede in là nel futuro, dove l’ottusità della sua corte non riesce ad addentrarsi.
Benché entrambe regnanti dotate di forte tempra, Elisabetta II e Caterina II di Russia marcano due modi di recitare differenti, seppur non antitetici. Caterina II è la forza attiva, un personaggio in perenne movimento (e forse azzardato dire che non vi è una scena nell’intera serie che la veda ferma?); ella si porta dietro l’eredità di una tecnica recitativa sperimentata ed espressa già – arrivando a tre regine di cui due addirittura “omonime” e connazionali sulle quattro (l’ultima è la Regina Carlotta in La pazzia di Re Giorgio di Nicholas Hytner, 1994) interpretate dalla Mirren – nella miniserie Elizabeth I (2005) e di quest’ultima si poteva dire quanto si è detto per Caterina II. Inoltre, il medesimo modo di recitare non si vincola a personaggi storici, ma si ripropone anche in quelli di invenzione: Madre Cicogna in Lo schiaccianoci e i quattro regni (2018) e Prospera (declinazione femminile e riadattamento dell’originale personaggio shakespeariano di Prospero) in The Tempest (2010). Dal canto suo, l’altra regina inglese, Elisabetta II ha una forza contemplativa, forza che si definisce tale per il mutato ruolo politico della sua regalità, ma anche perché diverse sono le vicende che la riguardano. Elisabetta II incarna il paradigma di una recitazione fondata sul motto arguto (si pensi al dialogo con Tony Blair ad inizio film), la battuta brillante, elementi propri anche di Caterina, seppur rappresentati sotto una diversa luce e con un diverso significato. Più che in altre regine, vediamo la stessa misura recitativa in personaggi quali Brigitte in Collateral Beauty (2016) e Elinor Loredan in Inkeart – La leggenda di Cuore d’inchiostro (2008).
Il panorama è composito e non bastano due regine ad esemplificarlo nella sua interezza. Sono due misure, due elementi di un recitare caleidoscopico, in cui ogni immagine si genera e rigenera continuamente, legandosi indissolubilmente alla precedente e alla successiva. Forse (si perdonerà in questo caso la facile battuta) l’unica vera regina è colei che tutte queste figure impersona. Siamo dinnanzi ad un’attrice che plasma un’immagine della regalità complessa, che si struttura attraverso l’esigenza di portare in scena un dramma allo stesso tempo storico e umano. Un’immagine magistrale (come già in apertura d’articolo) che la Mirren ha creato in maniera impeccabile. E, a riprova di ciò, non sarà certo un caso se più di un regista abbia scelto di far di lei un regina.
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