
Sguardo sulla Broadway dello spettacolo – Intervista alla ballerina Giorgia Riccardi

Quando lo stato di quarantena è stato esteso anche agli Stati Uniti, quello che era lo scenario performativo di teatro e musica più importante del mondo, con epicentro nella Broadway della Grande Mela, è stato congelato del tutto: nelle sue progettazioni e programmazioni, nell’attività abnorme degli esercenti e dei distributori, nelle esercitazioni che ogni giorno impegnavano i suoi performer, nelle aspirazioni che alimentavano i loro sogni di affermazione. Broadway è più che una porta d’accesso a una concertazione di spettacoli di qualità assoluta, a un sistema che anima e fa pulsare il cuore artistico della città; è un ponte per fantasie estreme. E Giorgia Riccardi, ballerina italiana, classe ’96, vi faceva da poco parte, prima che tutto s’interrompesse. Diplomata alla Alvin Ailey American Dance Theater, Giorgia si è costruita un curriculum di prim’ordine, avendo partecipato a spettacoli importantissimi con autori di livello internazionale. L’abbiamo brevemente intervistata per voi, per raccontarvi qualcosa di diverso, per raccogliere una testimonianza, non più italianissima (e credo che a Giorgia stia bene), in grado di offrirci un piccolo sguardo su un universo artistico come pochi altri al mondo, senza dubbio fuori misura rispetto alle nostre coordinate. E ora come ora, volare con la fantasia fa sempre comodo.
Eccoci qua, Giorgia. Ti ringrazio per aver accettato quest’intervista a distanza. Ma pensandoci un po’, in questo stato di quarantena, New York in video-call non sembra poi tanto più distante di una chiamata con amici e parenti qui in Italia. A proposito, come va lì negli States la tua vita confinata in casa?
Mantenere positività ed equilibrio non è affatto semplice, cosciente di ciò che succede lì fuori. Cerco però di seguire una routine giornaliera così da non destabilizzare i miei ritmi e non perdere tempo.
È assolutamente vero. Giorgia, hai appena 23 anni e sei già a tutti gli effetti una ballerina professionista. Non solo, questo è il tuo quarto anno nella Grande Mela. Com’è che sei arrivata a questi risultati?
Sin da quando ero bambina, ho sempre raccontato a tutti che un giorno avrei vissuto a New York, per coronare il mio sogno. Mia madre mi ha sempre lasciata libera di dare sfogo alle fantasie, pensando però che magari maturando le mie volontà sarebbero state deviate da strade più semplici. Invece no, ad un anno dal diploma, dopo varie peripezie, la realtà mi si è parata davanti con forza: potevo finalmente partire. Dal 2016 la mia vita è cambiata enormemente. Finalmente ero nella città dove i miei sogni potevano diventare realtà. Ballavo ogni giorno con studenti selezionati per le loro capacità da tutto il mondo. Studiavo con coreografi ogni settimana, su ritmi altissimi, in una sfida continua con gli altri e con me stessa, per una Giorgia migliore almeno di quella del giorno prima. Ho sempre preteso il massimo da me stessa, senza mai accontentarmi e pormi dei limiti. Credo che tenacia e testardaggine siano stati la misura del mio successo, il connubio perfetto per raggiungere ogni obiettivo della mia vita, dalle piccole alle grandi decisioni.
A cosa stavi lavorando prima del blocco delle attività per lo stato di quarantena?
Prima della quarantena stavo lavorando per due compagnie ed un’importante produzione, secondo un’organizzazione che prevedeva un lavoro scandito in 7 giorni su 7. Ogni giorno avevo prove della durata di 5 ore con la company Carolyn Dorfman Dance, assieme alla quale avremmo preparato l’importante Gala di fine stagione che si sarebbe tenuto a maggio. Ho lavorato come coreografa e ballerina per EVERGREEN, uno spettacolo off broadway, bilingue, inglese-italiano, a cura della Incanto Production, di Simona Rodano, incentrato sulla sensibilizzazione ecologica ed ambientale attraverso il canto, la recitazione e il ballo. Tutto in stretta collaborazione con l’ambasciata italiana e la Rai, che ci avrebbe trasmesso su Rai 1. Al contempo, ho lavorato per la Brooklyn Dance Festival Company, diretta da Bradley Shelver, per un evento molto importante che nelle intenzioni avrebbe portato la danza, col ballet Hispanico e il New York City Ballet, fuori dai teatri e dentro i rinomati musei di New York. Si tratta di un fiore all’occhiello tra le compagnie newyorkesi, che conta 33 beneficiari molto acclamati a livello mondiale, assieme a coreografi, primi ballerini, giornalisti del New York Times e l’attore Penn Badgley, il quale credo non abbia bisogno di alcuna presentazione, soprattutto per la vostra redazione.
Conosciamo bene Penn. Nelle nostre conversazioni, mi avevi accennato di aver preso parte in passato ad altri importanti spettacoli. Mi ha incuriosito uno in particolare: Ray Gun Say0nara. Puoi dirmi di cosa si tratta? E che tipo di ruolo hai ricoperto?
Ray Gun Say0nara è un off broadway show scritto da Steven Mark Tenney e diretto da Janet Bentley. Si tratta di una play, di un’opera sci-fi in cui ogni interpretazione – come dire – non è mai sbagliata. È proprio questo ciò che mi ha affascinato maggiormente dell’opera, il poter fantasticare sul palcoscenico, il potermi muovere quanto volessi e secondo le mie sole logiche, senza mai sentire di fare mosse sbagliate. Mentre la storia procedeva, il nostro ruolo di ballerini e interpreti era quello di muoverci secondo le sensazioni e l’esaltazione che l’opera ci procurava. Noi restituivamo così ad essa una performance quanto più sentita e autentica. Abbiamo portato in scena Ray Gun Say0nara per l’intero mese di Dicembre, e ogni volta che salivo sul palco sentivo di poter approcciare una interpretazione diversa, sempre nuova. È stato un approccio sperimentale il mio e quello degli altri ballerini, che mi ha permesso di modellare ancor più il mio ruolo di artista, interfacciandomi con attori e cantanti nel mondo dello spettacolo di prim’ordine, come quelli importantissimi che appunto a Broadway approcciano il genere sci-fi. Lo spettacolo racconta della missione del capitano Buck Law, a capo di una navicella spaziale, che deve salvare l’ambasciatore Antonus Equiverte, intrappolato in una sorta di realtà parallela dove il dark side di ognuno dei personaggi tende a rilevarsi e a predominare. Io ricoprivo il ruolo della magia nera personificata, ovviamente da ballerina. È stato sicuramente un ruolo molto impegnativo, poichè le richieste prevedevano di ballare e al tempo stesso di portare giochi di magia sul palco, secondo particolarti indicazioni. Ho imparato molto da questa esperienza unica: diciamo che il famoso detto fake it until you make it (fingi affinché non ci riesci), ha acquisito un senso fortissimo. L’importante era crederci, farlo credere per primo a sé stessi, quindi far credere al pubblico che tutto ciò che stava accadendo sul palco fosse davvero magia nera, e che io fossi parte integrante di quel potentissimo sentimento oscuro. A teatro, durante lo spettacolo, ogni volta avvertivo un’empatia crescente tra il pubblico e noi artisti. Più credevamo nella magia, più loro credevano che tutto ciò a cui stavano assistendo fosse reale. Più noi eravamo assorbiti da questo mondo e ci compiacevamo di esserlo, più se ne compiacevano e si divertivano gli spettatori.

Lo credo bene, sarà stata sicuramente un’esperienza incredibile. Ci sono possibilità che tu possa tornare a collaborare con questi autori?
Certo, indubbiamente! Nel meeting finale la produzione ha espresso la sua volontà di continuare a lavorare con me per futuri spettacoli sci-fi, e il solo immaginare che tipo di personaggio possa interpretare in futuro mi eccita un sacco. Speriamo solo che tutto questo, la pandemia e il resto, finisca presto. Il mondo dello spettacolo ha un assoluto bisogno di ripartire.
È quello che ci auguriamo tutti. Giorgia, ti ringrazio per aver condiviso con noi la tua esperienza e una piccola, piccolissima parte del tuo mondo. Mi auguro di poterti reintervistare più avanti, magari alla prossima collaborazione con Penn Badgley, o per il prossimo delirio sci-fi.
Sarà sicuramente così, magari la prossima volta mi toccherà interpretare il lato chiaro della Forza: il che forse, date le circostanze in cui ci ritroviamo, non sarebbe affatto un male. Chissà come mi calzerebbe. Alla prossima!
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