
Storia di una tossicodipendenza: “Ben is back”
È la vigilia di Natale ed il paesaggio è reso incantevole dalla neve caduta dal cielo; in chiesa si sono appena svolte le prove per il presepe vivente e per i canti della messa di mezzanotte. Tutto sembrerebbe far presupporre che le festività stiano per svolgersi nel migliore dei modi per Holly Burns e la sua famiglia. Eppure le impressioni che le primissime scene possono suggerire allo spettatore sono destinate ad essere smentite di lì a poco. Ad attendere Holly ed i suoi figli davanti al portone di casa c’è Ben, il suo primogenito diciannovenne che definire problematico sarebbe riduttivo. La sua tossicodipendenza, l’assunzione continua di droghe sin dall’adolescenza, non ha fatto altro che cacciarlo da un guaio all’altro, nonostante i numerosi tentativi di superamento del problema e le altrettante conseguenti ricadute. Ma, questa volta, Ben crede di essere riuscito a divenire più forte grazie al supporto della propria comunità di recupero e vorrebbe poter passare la festa più importante dell’anno insieme alla sua famiglia. A dispetto dell’iniziale titubanza (espressa soprattutto dalla sorella Ivy e dal nuovo marito della madre, certi che la presenza del ragazzo sarebbe nociva per il bene di tutti) si giunge al compromesso: la concessione di 24 ore di tempo per dimostrare di essere effettivamente pulito, per dare prova di essere una persona nuova. Se i propositi sono assolutamente encomiabili, diversa sarà la loro messa in pratica: gli sbagli del passato sono destinati a proiettare lunghe ombre e nuove tentazioni e vecchie conoscenze finiranno per sconvolgere non solo il Natale di Ben, ma anche gli equilibri dell’intero nucleo familiare.
Ben is back, ultima opera in ordine cronologico del regista e sceneggiatore Peter Hedges, si fa carico di presentarci la più cruda delle realtà: quella che non si fa scrupoli di squarciare la calda atmosfera di un periodo di festa; quella capace di farci allontanare dalle persone che amiamo e per le quali siamo la cosa più cara; quella che si insinua infima fra le pieghe dell’anima, in grado di condurci ad una lenta autodistruzione e, perché no, alla morte.
Protagonisti della pellicola due attori d’eccezione. Da una parte, a ricoprire il ruolo del ragazzo in via di disintossicazione, troviamo il giovane e versatile Lucas Hedges (figlio, tra l’altro, del regista), già candidato agli Academy Awards nel 2017 per Manchester by the sea (film di Kenneth Lonergan del 2016); dall’altra, una straordinaria Julia Roberts si cala nei panni di una madre, pronta a lottare contro tutto e tutti per il bene della sua famiglia e per cercare di salvarne il membro più fragile. Il resto del cast è chiamato a svolgere un ruolo marginale, quasi da complemento, utile solo a favorire la genesi di ulteriori dinamiche nel rapporto genitore-figlio. La scelta di concentrare la fabula nell’arco di 24 ore, poi, appare assolutamente azzeccata. Essa è una durata sufficiente per sezionare e sviscerare la relazione e l’essenza dei due personaggi: l’uno, malinconico, con un costante senso di colpa interiore insufficiente, però, a guidarlo verso la propria redenzione, sempre pronto a mentire perché come dice alla madre “non ti devi fidare dei tossici, dicono sempre bugie”; l’altra, speranzosa ma al contempo realista, perseverante nell’obiettivo di aiutare il figlio con dolcezza ma pure con durezza, anch’essa munita di un proprio senso di colpa derivante dall’idea di non essere riuscita a fare abbastanza. Interessante in ultimo la scelta di lasciare il finale aperto in un modo che, senza voler svelare nulla, potremmo definire “lieto nell’indefinitezza”: decisione, questa, che ben si allinea con il tormentato e difficile percorso di vita narrato nel film, per il quale mettere un punto fermo appare quasi fin troppo utopistico.
C’era un tempo in cui le fiabe e le storie a lieto fine trovavano nella magia del Natale il momento propizio per presentarsi agli occhi del grande pubblico. Oggi, con il film di Hedges, ci troviamo all’esatto opposto: un’antifiaba moderna ambientata in un mondo dove di meraviglioso c’è poco o nulla, dove la nostra salvezza dipende esclusivamente dalla nostra forza e dal supporto amorevole di chi ci ama.
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