
La ricetta del Cinema Ultra Reale: 30 min. a 360°
In occasione del Milano Film Festival, BASE Milano (ex officine Ansaldo, da qualche anno trasformate in spazio culturale) ha ospitato per tutta la settimana il programma Ultra Reality: 16 esperienze in realtà virtuale suddivise in quattro stanze e nel VR Theatre, costituito da una decina di poltroncine dotate di visore Oculus Go disposte sul palcoscenico della Sala Lounge. Qui, una volta accomodati sulla propria sedia girevole, e dopo aver indossato cuffie e visore, inizia l’esperienza del Programma 2: tre film, tre diverse realtà virtuali, per una durata complessiva di una mezzoretta.
Il primo filmato in cui ci si ritrova co-protagonisti è 700 Sharks, di Manuel Lefevre. Sebbene il titolo sembri promettente, la pratica tradisce le aspettative.
Le incredibili scene di caccia sottomarina vantate nell’introduzione si riducono in un simil documentario abbastanza noioso, a cui manca giusto la canonica voce narrante di Geo&Geo.
Il secondo film è invece più interessante: The Real Thing, di Benoit Felici e Mathias Chelebourg, è un viaggio nelle repliche cinesi di città europee. La torre Eiffel di Parigi, il Tower Bridge di Londra ma anche interi quartieri di Venezia sono stati ricostruiti in più o meno remote città della Cina orientale, circondati da verdi colline o da grigi grattacieli. L’effetto è a dir poco straniante, e se lo vedesse Marc Augè gli verrebbe sicuramente almeno un infartino. Il film ti porta a fluttuare a mezza altezza attorno alle repliche architettoniche, mentre si susseguono le vere opinioni dei veri abitanti di queste città. Abitanti che non sono affatto scontenti di vivere in una sorta di mondo parallelo, ma che anzi lo considerano un privilegio: non è da tutti poter dire di avere aperto un noodles take away all’ombra della Tour Eiffel, e poco importa se quest’ultima sia quella vera oppure no. Come sostiene un giovane cinese ad un certo punto, la distinzione tra realtà e immaginazione è ormai superata e rendere al meglio un mondo di simulazioni non può che spettare alla realtà simulata del cinema virtuale.
L’ultimo film, a parere di chi scrive, è anche quello meglio riuscito. Sun Ladies, di Christian Stephen, racconta infatti la coraggiosa vita di Xate Singali, una donna yazida che dopo essere stata venduta come schiava sessuale dall’Isis ed essere però riuscita a fuggire, organizza un’unità di combattimento esclusivamente femminile, per cercare di salvare tutte quelle donne che hanno subito il suo stesso destino.
Il punto di forza di quest’ultimo lavoro sta non tanto (o non solo) nella storia, ma nel come questa viene raccontata: il racconto di Xate inizia e finisce sotto forma di rappresentazione illustrata, e sempre in disegni animati sono rese le esplosioni e il fumo nero che copre ogni cosa, in uno stile che ricorda molto il Valzer con Bashir di Folman. Una scelta registica che nasce da una necessità effettiva: le videocamere VR potevano essere facilmente scambiate per armi militari, e catturare filmati dalle prime linee era praticamente impossibile. Per ritrarre il coraggio delle Sun Ladies, sono state perciò ricreate alcune scene di combattimento con lo strumento per la pittura digitale VR Quill, che avvolge lo spettatore in ampie pennellate. Tutto il resto del filmato è invece in live-action, e chi indossa il visore si ritrova occhi negli occhi con le combattenti, seduto a tavola al loro fianco o presente al rito del bucato, in un’esperienza immersiva che riesce a dar senso al medium attraverso cui è veicolata.
Se i documentari in realtà virtuale permettono di guidare lo spettatore all’interno degli ambienti raccontati, prodotti come Sun Ladies sono funzionali ad aumentarne il coinvolgimento emotivo, facendo sentire chi osserva parte integrante dell’azione, con notevoli risultati a livello di empatia. In un video a 360° quindi, le novità riguardano non soltanto le relazioni spaziali con i luoghi visualizzati, ma anche quelle che si instaurano tra spettatore e personaggi, da cui derivano sentimenti, sensibilità e responsabilità profondamente legati all’esperienza rappresentata. Ancora una volta, l’industria cinematografica sta sperimentando nuove tecnologie che possano rinnovare il potere illusionistico del cinema, al fine di influenzare più intensamente le emozioni degli spettatori. La domanda che si pongono critici e teorici è allora la seguente: con la realtà virtuale, si può ancora parlare di cinema?
Di certo cambia la struttura formale: se da un lato abbiamo paradigma di narratività e regime d’illusione, dall’altro si parla di interattività e simulazione. Che questo costituisca un possibile futuro per il cinema o ne determini la morte definitiva, resta ancora tutto da capire.
Opinioni catastrofiche o troppo entusiaste a parte, rimane il fatto che questo tipo di contenuti interessa sempre di più, e ormai da qualche anno non c’è festival cinematografico che ne voglia fare a meno.
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