La sala professori – La parabola perfetta della suspense cinematografica
«Prendiamo un altro esempio, quello di una persona curiosa che penetra nella camera di un altro e fuga nei cassetti. Poi si fa vedere il proprietario della camera che sta salendo le scale. Quindi di nuovo la persona che fruga e il pubblico vorrebbe dirle: “Attenzione, attenzione, qualcuno sta salendo le scale” […] Se poi la persona che fruga è un personaggio simpatico l’emozione dello spettatore è raddoppiata…» (A. Hitchcock ne Il cinema secondo Hitchcock, F. Truffaut, il Saggiatore, 1997)
Se è vero che Hitchcock è considerato il maestro della suspense, allora è lui il primo a cui chiedere come funzioni, cosa sia quell’agitazione che abbiamo addosso e perché ci piaccia così tanto.
Nonostante si tratti infatti dello strumento narrativo più sdoganato – quello a cui rispondiamo subito con «è solo finzione» – la suspense, quando rispetta i tempi e i meccanismi di creazione che richiede, resta il mezzo più efficace per immergersi in una storia.
La sala professori di Ilker Çatak, candidato agli Oscar come miglior film straniero, riesce a creare precisamente quel senso di incertezza per niente semplice e tipico della suspense.
Çatak parte da una storia lineare e costruisce una forte empatia tra lo spettatore e i personaggi principali, prima tra tutti la professoressa Nowak (Léonie Benesh), mettendo poi in scena un domino di eventi che tiene sulle spine dall’inizio alla fine del film.
La trama
La professoressa Carla Nowak è arrivata da poco in una scuola tedesca in cui gli alunni sono chiamati al rispetto delle regole attraverso una politica di “tolleranza zero”. Carla è giovane e premurosa, ci tiene al fatto che gli alunni siano sereni e vuole rispettare i loro spazi. Da qualche tempo all’interno della scuola si verificano furti nelle aule e nella sala professori, fino a quando un bambino arabo nella classe della professoressa Nowak viene accusato di esserne il responsabile. Le accuse si riveleranno false e la professoressa, nel tentativo di scagionare i suoi studenti da qualsiasi tipo di sospetto e da pregiudizi etnici, ingegna una trappola per il ladro e riprende in video un furto nella sala professori. È l’inizio di un susseguirsi di eventi che porteranno frustrazione e tensioni all’interno della scuola.
La scuola come specchio della società
L’idea di un film ambientato interamente in una scuola non è certamente una novità. Spesso gli istituti scolastici, o in generale gli ambienti chiusi dove una maggioranza risponde ad una gerarchia, vengono utilizzati in narrativa per rappresentare la società. Si può pensare a grandi classici come La fattoria degli animali di Orwell, o a film come L’Onda di Dennis Gansel. È un escamotage con il quale riprodurre in miniatura il mondo reale: ci sono i capi che stabiliscono le regole, ci sono quelli che ne controllano il rispetto, ci sono i media (nel caso de La sala professori, c’è addirittura un giornalino scolastico) e ci sono gli effetti a catena in cui l’azione di uno si ripercuote su tutti e ha un impatto sul livello di civiltà del sistema. L’obiettivo è semplificare il modo in cui viene veicolato un messaggio più o meno implicito.
Ma se per i film come L’Onda riusciamo ad immaginare il finale e la morale già dopo i primi venti minuti (in questo caso infatti il protagonista è un professore che ricrea con un esperimento le condizioni in cui nasce un sistema autoritario), la particolarità de La sala professori sta proprio nell’imprevedibilità degli eventi.
Con le sue scelte registiche, Çatak crea una sensazione claustrofobica che mette in secondo piano la ricerca del ladro all’interno della scuola, nodo da cui invece parte la trama. Anzi, il mistero sembra risolversi già nei primi venti minuti. Per tutta la sua durata, il film sembra piuttosto l’anticamera di un punto di rottura: il rapporto d’aspetto in 4:3, i colori ingrigiti, l’uso dei primi piani ma anche le riprese dall’alto, contribuiscono a creare tensione più dello stesso svolgimento dei fatti. È naturale allora ripensare a Hitchcock, quando raccontava a Truffaut che la suspense nasce dal modo in cui una storia viene raccontata, dal tipo di empatia che il narratore riesce a costruire con lo spettatore. E Çatak, grazie anche all’ottima interpretazione di Léonie Benesch, riesce a sviluppare una narrazione complessa di una storia che sulla carta è semplice, riassumibile in poche righe.
Le situazioni che nascono dalla ricerca del ladro mettono Carla Nowak davanti alla lotta estenuante tra le sue buone intenzioni e le incomprensioni che genera nel metterle in pratica. Ed è questo il vero centro del film: la creazione di una tensione tale da fare in modo che il pubblico, sapendo che la professoressa Nowak vuole agire nel bene e nel rispetto di tutti, voglia quasi cercare di aiutarla, urlarle – citando sempre Hitchcock – cosa fare e cosa non fare.
Piccolo spoiler. Il finale, per quanto non porti al sollievo con cui solitamente termina la suspense, è perfetto per il film: imprevedibile, anche se in qualche modo lineare.
Guarda il trailer di La sala professori:
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