
Dissonorata – La colpa e la condanna di non nascere uomo
Coltivare sogni che non si sarebbero mai realizzati. Questo il destino che toccava a molte donne nate nella Calabria del dopoguerra, le stesse che Saverio La Ruina ci racconta nel suo Dissonorata. Un cunto appassionato e dolente, in scena al Teatro Fabbrichino di Prato e in tournee ormai da oltre 15 anni. Uno spettacolo che ha mantenuto nel tempo la sua carica dirompente, che squarcia il silenzio di una sala incantata dal sorriso e il disincanto di Pasqualina, sfortunata protagonista della storia.
In questo lungo monologo è proprio Saverio La Ruina a interpretare Pasqualina. Una scelta che rivela già in partenza il progetto ambizioso e la cui resa non è affatto scontata: rendere credibile la voce di un uomo, che racconta in prima persona il dramma di una donna meridionale alla metà del secolo scorso. Pasqualina nasce femmina, in un tempo e in un luogo in cui ogni padre desidera il figlio maschio: è così che, ancora senza colpa, raccoglie il suo primo, doloroso, rifiuto. Cresce in una terra aspra, ostile, che concede alle donne l’unico sogno di sposarsi a qualcuno che le renda felici, degne di esistere. E Pasqualina, obbediente in tutto, anche nei desideri, racconta quei sogni candidi e ingenui, che l’ingenerosa realtà fa presto ad infrangere.

In Dissonorata il palco è vuoto. Solo una sedia al centro della scena, su cui Pasqualina va a sedersi all’inizio dello spettacolo. Gesti compiti e occhi timidi, ora sfuggenti ora penetranti, ma sempre desiderosi di raccontare una storia che è l’eco di molte altre. Calabria, primo dopoguerra. Molti uomini sono lontani, a combattere altrove; molte donne rischiano di restare nubili, zitelle dunque reiette. Pasqualina vive in campagna, tra le pecore e lo sguardo severo di chi non tollera le donne sole, senza marito.
E allora si mette a sognarlo un marito, uno qualsiasi, e quando incontra un uomo crede subito alle sue parole. Lui le promette che la sposerà, sì, ma prima la possiederà. E il resto è presto detto: Pasqualina rimane incinta, il “promesso sposo” l’abbandona, i familiari di lei la cospargono di benzina e le danno fuoco. Vogliono bruciarla, e con quel fuoco rimuovere ogni traccia di un bambino che mai nascerà, e di un disonore che metteranno a tacere. Ma grazie a una zia della ragazza, Pasqualina e il figlio che porta in grembo riusciranno a sopravvivere e avranno un’altra, pur straziata, possibilità di riscatto…

Dissonorata è un flusso calmo e potente, accompagnato dagli intermezzi musicali di Gianfranco De Franco, che suona dal vivo incorniciando e smorzando le asprezze di un monologo accorato, sofferto. Ma ad alleggerire questa storia struggente è anche l’eloquio dolce, sussurrato, con toni persino brillanti nella loro sobrietà, di uno straordinario Saverio La Ruina che dello spettacolo è anche regista.
La Ruina anima il monologo con i movimenti tipici del cunto, composti e armoniosi; trasforma la disperazione sussurrata di Pasqualina in una danza, costretta in abiti e movenze di donna senza alcuna libertà di scelta. Dà a Pasqualina toni garbati, sommessi, delicati anche nella sofferenza più acuta; la sua voce vibra di un disincanto che non è mai rassegnazione, né al destino infausto che l’ha presa, né al giudizio di cui Pasqualina, come ogni donna di quei tempi e di quei luoghi, si faceva suo malgrado oggetto e soggetto.
La protagonista di Dissonorata racconta un viaggio esistenziale attraverso le poche possibilità che la vita le ha offerto, del suo sogno d’amore presto deluso, dei sogni irreali precipitati in una triste storia di rinunce e soprusi, di sacrifici vani e di un (non troppo) vago odore di morte. Una morte che, a tratti, sembra l’unico accesso alla libertà. C’è dolore nel cunto, nelle parole di Pasqualina. Ma c’è tanta ironia nel suo sguardo vispo, nella voce, nel modo complice con cui l’attore si rivolge al pubblico, che in silenzio non vuole perdere un solo accento della magia che si crea.

La lingua usata è il dialetto calabrese, che sprofonda il pubblico nelle atmosfere cupe e asfissianti di un’esistenza piena di limiti, di violenza. Ma Pasqualina, pur “dissonorata”, sorride fiera mentre ci racconta di sé, della sua vita delusa e di una nuova vita – quella del bimbo che dà alla luce – che si prepara a riscattarla, a cambiare la sua sorte di donna sconfitta.
C’è bisogno di parlare di donne, di queste donne. E serve che lo facciano anche gli uomini indossando, sopra i propri abiti, i panni di chi da secoli è vessata e discriminata. Come Saverio La Ruina fa con la sua Pasqualina, e con uno spettacolo che in questi anni gli è valso prestigiosi riconoscimenti quali il Premio Ubu e il Premio ETI 2007, il Premio Ugo Betti nel 2008 e il Premio Hystrio nel 2010. Dissonorata potrà continuare a incantare e a far vibrare le platee di molti teatri, fin quando, in qualunque parte del mondo, anche una sola donna sconterà la colpa di non essere nata uomo.
DISSONORATA
di e con Saverio La Ruina
musiche dal vivo Gianfranco De Franco
collaborazione alla regia e contributo alla drammaturgia Monica De Simone
disegno luci Dario De Luca
organizzazione e distribuzione Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
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