
Petite Maman – La magia del reale nell’ultima gemma di Céline Sciamma
Un luogo e un tempo sospeso, l’atmosfera è qualcosa a metà tra i fratelli Grimm e i mondi di Hayao Miyazaki, siamo nel racconto fiabesco eppure immersi in una realtà che ci può sembrare vicina. Petite Maman di Céline Sciamma è un piccolo prodigio, una storia affidata allo sguardo dei più piccoli, ma che insegna proprio agli adulti a non smettere di cercare la meraviglia. Nelly si ritrova ad affrontare la perdita inaspettata della nonna e presto dovrà colmare un altro vuoto: il momentaneo e inspiegabile allontanamento della madre.
La casa della nonna è in un bosco lontano dal mondo, qui incontra la piccola Marion, una bimba della sua stessa età che le ricorda sua madre e verso la quale diventa subito teneramente protettiva.

Chi è questa misteriosa bambina? Forse il doppio della piccola protagonista? O un fantasma del passato? Potrebbe essere anche sua madre, perché nelle parole di Marion tornano le storie che Nelly ascoltava da lei prima di addormentarsi. Ma qui il rapporto sembra capovolgersi: è infatti proprio Nelly che assume un comportamento materno nei confronti dell’amica.
Le due protagoniste – nella vita reale sono due gemelle, Joséphine e Gabrielle Sanz – sono dirette magistralmente da una regista che con una certa distanza riesce a restituire la delicatezza e la questione del distacco vissuta da chi è in tenera età. Sciamma non cede mai ai sentimentalismi e grazie al rigore riesce a penetrare e portarci in un mondo onirico per dispiegare il reale. D’altronde il film viene girato in un momento particolare, dopo il primo lockdown del 2020 ed è come se, nonostante si trattasse di un vecchio progetto della regista, riusciamo a percepire l’urgenza di una tematica di questo tipo. La chiusura forzata ci ha fatto incontrare/scontrare con certi fantasmi? Letto in questo contesto il film può assumere ulteriori piani di lettura.

Petite maman nella sua asciuttezza e anche nella durata breve, costruisce un mondo di riconciliazione e cura, Nelly rappresenta quel passaggio dal dolore alla consapevolezza delle radici e di un passato che non smette di esondare nel presente. Céline Sciamma regista di Tomboy e, tra le altre cose, anche sceneggiatrice di La mia vita da zucchina, sa molto bene come raccontare l’universo dell’infanzia in un percorso che va dalla morte (di un parente o di una parte di sé) alla rinascita, alla fioritura e al riconoscimento del proprio posto nel mondo.
Quella capanna magica nel bosco, davanti alla quale si rivela il mistero – “Vieni dal futuro?” chiede Marion, “Vengo dopo di te” risponde Nelly – è l’igloo della memoria, fatta di rami e perciò di natura, radici, vita, che contrasta quella casa spoglia e asettica che Nelly sta per lasciare. Il passaggio di testimone tra donne, nonna, madre, figlia non è una linea verticale, ma un ciclo che le attraversa e ritorna affinché queste giovani fanciulle in fiore (o in fiamme) possano ereditare per restituire.
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