
Almighty Consciousness: abitare la gabbia | Cortometraggio in anteprima
Almighty Consciousness, che siamo fieri di presentare in anteprima (in esclusiva per Birdmen Magazine) [alla fine dell’articolo], è il secondo cortometraggio dei giovani talenti svizzeri Alessandro Panelli e Alex Tosi. Un film parte di un efficace dittico in cui rientra il precedente Hourglass. Il tema portante è la riflessione visiva sull’esperienza del lockdown che ha caratterizzato i primi mesi del 2020 e oggi prosegue con accelerato incalzare.
un articolo di Federica Defendenti
Il centro del discorso è, per gli autori, il tema della casa, ambiente che tutti ci ritroviamo in quest’ultimo anno ad abitare in una misura senza precedenti, e lo spazio esterno con cui è necessario cercare di riconnettersi. Panelli e Tosi si mettono in dialogo con loro stessi e con le più profonde impressioni e sensazioni che hanno caratterizzato il loro vissuto del lockdown, connotando lo sguardo in una serie di schemi visivi rappresentativi che ne rendano l’universalità. Il conto delle ore nello schermo del televisore, ripreso in soluzione di continuità dopo il precedente film Hourglass, richiama inevitabilmente nel nostro immaginario il conto dei giorni di carcere incisi a linee verticali sui muri di una cella (lo avremo visto tutti in qualche film americano come topos della misura del tempo); o ancora gli spazzolini da denti nel bagno, che in Hourglass spariscono dal bicchiere come metonimia della scomparsa del contatto umano, e che in Almighty Consciousness, al ruotare della mano del protagonista, ritornano multipli a mostrarsi davanti alla macchina da presa.

Se il precedente film rifletteva una percezione cupa della realtà della quarantena, con echi e simbolismi lynchani, quest’ultimo cortometraggio si propone (ma sarebbe meglio dire che ci chiede), con un senso di straniamento, di ribaltare lo sguardo: «Ognuno è artefice del proprio destino» recita tra sé e sé il protagonista all’inizio del film, dandoci la chiave di lettura di ciò a cui stiamo per assistere. La coscienza è onnipotente, come da titolo; può dominare la sensazione e mutare il paradigma del vissuto; l’individuo può cambiare la propria percezione degli avvenimenti e scegliere come viverli e ricordarli, immaginare una nuova percezione del reale per preservarsi dal crollo. Così assistiamo all’insolita amicizia tra un ragazzo e un cactus, che si trasforma nel solo contatto possibile, ponendo la pianta come sineddoche del mondo esterno. Non a caso i riferimenti naturali all’interno del corto sono fondamentali, in costante alternanza tra spazio chiuso (quello reale, abitato e unico abitabile) e spazio aperto (ricreato dalla dimensione immaginativa del protagonista). Non solo: il cactus chiuso nel proprio vasetto vive una stessa condizione di cattività imposta, che si risolverà solo alla fine del film, quando dopo una processione solitaria sotto l’ombra di un viale alberato, assistiamo alla liberazione tanto della piantina, riconnessa con la natura dal protagonista che offre al cactus uno spazio scavato nella sabbia in riva al lago, quanto del protagonista stesso, in un passaggio che per un momento tende a eliminare la distanza tra sogno e realtà, dilatando l’evento in una dimensione di calma, che non sapremo mai quanto davvero vissuta o soltanto immaginata. Eppure, per quell’attimo di immensa tranquillità, siamo lì, riconnessi con il tutto.
Ecco il cortometraggio!
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